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Avv. Gaspare FARDELLA |
Cari frequentatori della "piazza", trascorso il periodo di ferie, riprendiamo la nostra attività, che è quella di dare voce ai lettori.
L'articolo dell'avv. FARDELLA è piottosto lungo ma, vi prego, perdete un po' del vostro tempo e con pazienza leggetelo tutto perché alla fine lo riterrete particolarmente fluido ed interessante.
Ezio RINALDI
"Egregio sig. dott.
avv. Anonimo del 12/8/17, h. 19:06,
devo, inizialmente,
scusarmi con Lei per il ritardo con cui rispondo al Suo intervento, per il
quale mai La avrei privata del piacere di un mio riscontro, che Lei sicuramente
attendeva; perciò, confidando sul Suo perdono, eccomi qui, a dare, come Lei, il
mio piccolo contributo alla discussione sul caso MAFFEI, sperando di essere
questa volta esaustivo e, principalmente, alla Sua altezza (cosa per me molto
improba), cercando anche di fugare quei dubbi e di difendermi da quelle pesanti
censure che Lei, esercitando il Suo sacrosanto diritto di critica, ha
maliziosamente mosso e capziosamente sollevato nei miei confronti, nella
certezza che anche Lei voglia accordarmi quello stesso diritto di critica, sopra
riconosciutoLe, nonché quello di replica.
Ciò premesso, dovendoLe
rappresentare innanzitutto - molto sommessamente - che l’inutile anonimato in
cui Lei si rifugia Le fa perdere gran parte di quella credibilità che
l’articolo merita, non posso negare tuttavia che questo risulta apprezzabile per
scorrevolezza di lettura e per i temi da Lei affrontati, i quali mettono in
luce la Sua particolare conoscenza delle discipline giuridiche, specialmente in
campo di diritto sportivo, talmente profonda da consentirLe di esprimere, in
maniera quasi convincente, tutto ed il suo contrario, nonché a far risaltare la
Sua capacità di condurre un lettore disattento a conclusioni travisate, fuorvianti,
incoerenti e contraddittorie, riuscendo perfino a privarlo di quelle certezze
che egli credeva di avere.
Infatti, la
sapiente suddivisione dell’articolo in due parti - sottile ed acuto espediente a
cui Lei è ricorso - conferisce al Suo scritto quella facilità di lettura che
spinge il lettore ad andare avanti, senza fermarsi, e, riempiendolo di
suggestioni, gli impedisce di cogliere alcuni significativi ed importanti elementi
che, se opportunamente intercettati, costituiscono invero dei non trascurabili
spunti di riflessione, giacché:
- nella prima
parte, dopo avere lapidariamente precisato il motivo che La indotta ad
intervenire, nel tentativo di instillare il convincimento nei lettori che è la
prima volta che scrive, distoglie rapidamente la loro attenzione passando con
abilità a muovere appunti verso alcuni noti dissidenti e soffermandosi, con
particolare cura, soprattutto su me (probabilmente Le sto antipatico, ma Le
assicuro che la cosa non è reciproca), visto che stigmatizza, con singolare
impegno, talune mie condotte, facendomi destinatario delle Sue critiche più
aspre;
- nella
seconda, invece, affronta il caso MAFFEI, ove, attraverso una succinta
descrizione caratteriale del medesimo ed una invidiabile opera di sintesi in
diritto sportivo, offre la Sua personale opinione, lasciando presagire una
conclusione che, per quanto - a Suo dire - poco dolorosa, sarebbe purtroppo inevitabile,
dando così alle Sue semplici e labiali affermazioni, prive di alcun richiamo
normativo, valore di assioma giuridico.
Devo anche aggiungere
che la sostanziale divisione dell’articolo in due momenti fa perdere di vista
la sibillina, lugubre ed inquietante frase di chiusura, che evoca scenari
catastrofici, tali da richiamare l’Apocalisse,
di biblica memoria, e che qui di seguito riporto testualmente, a benefico dei
distratti: “Viceversa, Dio non voglia, a rimetterci non sarebbe
soltanto lui”, dal recondito
significato, ma senz’altro idonea e sufficiente a svelare non solo l’odiosa, ma
inutile, necessità dell’applicazione di una sanzione, seppur minima, a carico
del suddetto incolpato, in ragione di una meramente ventilata, e solo da Lei
asserita, sorta di “comune beneficio”, ma soprattutto la pervicace manovra di
attribuire ad altri (chi?) le possibili responsabilità dell’intero evento, che però
- a mio modesto avviso - sono unicamente da ascrivere a chi ha caparbiamente voluto
deferire Michele MAFFEI, con la conseguenza che “a rimetterci” - diversamente
da quanto da Lei labialmente attestato - dovrebbe essere soltanto costui e non
altri.
Inutile dire che siamo al
solito giochino dello “SCARICA BARILE”, in cui gli Italiani non hanno rivali, e
Lei, con la suddetta affermazione, non dà l’impressione di costituire
un’eccezione.
Ciò premesso, andando
ai contenuti del Suo scritto, nel ribaltare - col Suo consenso - il relativo ordine,
mi piacerebbe iniziare dalla questione MAFFEI, affrontandola più semplicemente
su un piano logico, nel duplice intento, da un lato, di evitare di tediare Lei
(che non ne ha bisogno) e tutti i lettori con barbose disquisizioni giuridiche,
peraltro qui ripetutamente formulate, ma sempre giunte a differenti
conclusioni, e, dall’altro, di dar modo a tutti, e non solo ai giuristi di alto
rango - come Lei - di intervenire nell’eventuale prosieguo del dibattito.
Pertanto, mi
permetta di esordire facendoLe notare che la Sua affermazione - che riporto
testualmente: “Lo stesso Maffei … non ha negato la sua adesione alla
decisione, per altro unanime, del Consiglio di amministrazione dell'Accademia” - , nel dimostrare che Lei
ha piena contezza e perfetta conoscenza dei fatti accaduti e di come questi si
siano svolti, La colloca indubbiamente, se non proprio nelle posizioni apicali
della FIS, nelle immediate vicinanze.
Detto questo,
fermandoci per un solo istante su tale frase e ponendo l’attenzione sull’incontestata
regola - ben nota a tutti gli iscritti al I° anno di giurisprudenza e, dunque,
a maggior ragione a Lei, che ha dimostrato di essere un valente cultore del
diritto - che un Ente/Società, pubblico o privato, è unicamente rappresentato
da colui che ne ha la rappresentanza giuridica (Presidente, Amministratore
Unico, Amministratore Delegato, Consigliere Delegato) e che solo su tale
soggetto ricade la responsabilità riferibile all’Ente medesimo, sorge spontaneo
chiedersi come si può pretendere di sostenere che il provvedimento di deferimento
possa riguardare anche quei singoli consiglieri che abbiano preso parte attiva
al momento deliberativo (leggi: la votazione) e non soltanto il relativo suo
legale rappresentante? Ma si rende conto della enorme corbelleria che qualche
parte tenta grossolanamente di sostenere? Non Le pare assolutamente lampante,
chiaro, evidente, palese, ovvio e manifesto, dall’alto delle Sue indiscusse ed
indiscutibili conoscenze giuridiche, che si è di fronte ad un atto totalmente
ingiusto, illecito, illegittimo, immotivato, irragionevole, irrazionale, iniquo
ed illogico? Ma si è accorto che quest’atto, a cui tutta indistintamente la
famiglia schermistica (e non parlo di base, maggioranza, opposizione, lealisti,
dissidenti, contestatori, sostenitori) si è rivoltata, è tenacemente sostenuto
soltanto dai vertici federali? Ma come possono le Sue profonde conoscenze
giuridiche averLa determinata a supportare una simile tesi, che brilla soltanto
per la sua immane assurdità?
Inoltre, a
riprova della manifesta infondatezza del deferimento de quo, giova precisare che, ove - per pura ipotesi - si volesse
ammettere che l’iter logico del ragionamento fatto dalla FIS, nell’adozione del
contestato provvedimento, andasse in questa direzione e fosse esatto, ciò
porterebbe all’aberrante conclusione che, a posizioni invertite, dovendosi
applicare lo stesso principio sia alla FIS che a tutte le altre Federazioni
sportive (visto che le norme valgono per tutti), in presenza di un
provvedimento, specialmente disciplinare, questo avrà sicure ripercussioni su tutti
i singoli componenti dei relativi Consigli.
Provo a
spiegarmi meglio.
Poniamo il caso
che una qualunque Federazione, previa delibera consiliare, adotti un
provvedimento, successivamente contestato dal CONI e seguito da ripetuti inviti
del medesimo ad adeguarsi alle sue direttive.
La Federazione sollecitata
non aderisce.
Da qui, nasce
un contrasto/contenzioso col CONI, in cui quest’ultimo, nelle more del procedimento
pendente, per tutelare se stesso, assume un determinato provvedimento nei
confronti della Federazione “ribelle”.
Orbene, in tale
circostanza, secondo la tesi avanzata ed applicata dalla FIS, sostenuta da Lei,
egr. avv. Anonimo, ed abbracciata per fede dagli altri anonimi lealisti, gli
effetti del provvedimento assunto dal CONI verso quella Federazione, colpevole
di avere avviato una controversia con l’Ente a cui è direttamente ex lege legata, si dispiegherebbero pure
verso l’intero “indisciplinato” Consiglio federale, colpendo indistintamente ciascun
componente.
Invero, secondo
il mio umile pensiero di uomo della strada, questa tesi risulta più che azzardata
e molto poco convincente, appunto perché appare del tutto ILLOGICA, e sono
certo che Lei, rivedendo la Sua posizione sotto tale luce, non potrà, alla
fine, che concordare con me; diversamente, anche in considerazione della Sua rilevata
(qualcuno direbbe: rivelata) vicinanza politica, potrebbe iniziare a prendere
corpo l’idea che l’articolo possa essere stato scritto A DUE MANI, oppure Le
sia stato commissionato da ignoti terzi.
E restando,
ancora, sul tema MAFFEI, non posso esimermi dall’osservare, con tutto il
rispetto e la deferenza che Le porto, che anche l’altra Sua frase, “non capisco
tutto questo baccano … stiamo parlando, comunque, al massimo di una
ammonizione, se non addirittura una tiratina di orecchie”, oltre ad essere anch’essa fortemente evocativa
della tragicommedia di Shakespeare, titolata: “Molto rumore per nulla” - dove il “molto” dell’inizio del titolo è
sapientemente contrapposto al “nulla” della fine - è del pari infelice, atteso
che parrebbe confermare le perplessità sopra esposte in ordine sia al vero (e
non unico) autore dello scritto, sia alla lampante illogicità del provvedimento
contestato, ma soprattutto perché indurrebbe chiunque a ritenere che ci si
trovi davanti ad una palese, esecrabile ed infausta anticipazione di giudizio, da
Lei pronunciata - a dispetto delle Sue evidenziate qualità di giurista - non si
sa se ingenuamente oppure per spiccata vanità (per dimostrare il Suo prestigio
ed il posto che occupa alla mensa degli dei), e che sembrerebbe sottendere
altre imbarazzanti (per Lei) situazioni.
Difatti, nel
permettermi, molto modestamente, di osservare che, come la citata opera di Shakespeare,
il caso MAFFEI contiene, allo stesso tempo, risvolti tragici (il deferimento) e
conseguenze comiche (tiratina di orecchie), che il “baccano”, da Lei lamentato,
è stato causato esclusivamente dagli autori del provvedimento in parola,
adottato verso un’icona mondiale della Scherma, orgoglio e vanto dell’intera Italia
sportiva, potrebbe spiegarmi, cortesemente, per quale oscuro motivo si sia
voluto assumere un simile provvedimento che ha duramente toccato e pesantemente
sconvolto l’opinione pubblica, ma che alla fine si concluderà con una semplice
“tiratina di orecchie”?
Perché colpire
un eroe della scherma, fulgido esempio per tutti di eleganza, stile, classe,
portamento, signorilità, pacatezza di toni e raffinatezza nei modi, per poi
lasciargli una macchia indelebile, nella peggiore delle ipotesi, o anche solo
un piccolo alone sulla manica della giacca, fastidioso alla vista, nella
ricorrenza di quella più favorevole?
Quale è il
senso e la logica di tutto ciò?
Ed ancora, altri
numerosi e più angoscianti interrogativi sorgono dall’esito da Lei tratteggiato
dell’avviato procedimento disciplinare, giacché tutti si chiedono, con sbalordito
stupore, come fa Lei a sapere che la conclusione sarà “al massimo una ammonizione o una tiratina di orecchie”? Come fa ad esserne così certo? E’ già stata scritta la
sentenza? E, in tal caso, come fa ad esserne a conoscenza? Tale conoscenza è
diretta o mediata? E, se è mediata, chi gliela ha detta? Quale è la Sua fonte?
E se, poi, “DIO NON VOGLIA”, l’emittenda statuizione
dovesse essere davvero nel senso da Lei anticipato, vaticinato, presagito,
profetizzato o, comunque, predetto, non pochi potrebbero essere indotti a reputare
che qualcuno ne abbia già concordato il risultato. Lei ne sa niente? Chi ha parlato
con chi? Sono, allora, vere le voci che definiscono il deferimento de quo strumentale, finalizzato solo a
gettare discredito su un eventuale avversario scomodo ed ingombrante, nello
sforzo di cercare di ridurgli un possibile consenso elettorale? E’ forse una
Sua velata conferma a quelle “insinuazioni” sull’uso inappropriato della
giustizia sportiva, che Lei, senza specificare alcunché, ha tentato
larvatamente di attribuire a me, ma che io (come si vedrà) non ho mai proferito?
Continuo a non
trovare alcuna logica in questa triste e dolorosa vicenda, ma confido che Lei
riesca a dissipare tali atroci dubbi, dando una qualche spiegazione razionale, dovendo
precisare, in proposito, che questi interrogativi appartengono a molti
appassionati di Scherma e rappresentano quel diffuso sentimento comune che io mi
sono qui limitato a riunire e rivolgere alla FIS, ad esclusivo giovamento della
stessa, perché abbia modo di esaminarli con cura ed attenzione, dopo aver
sentito una voce diversa da quella dei tanti “yes-men” che davanti applaudono e
dietro criticano.
Passando, ora,
all’altro motivo del Suo intervento, quello che mi riguarda personalmente, dove
trancia dei giudizi poco lusinghieri nei miei riguardi, accusandomi pubblicamente
di essere “offensivo”, di fare “precise insinuazioni” e di non dare “doverose risposte”,
pur rispettando il Suo pensiero, mi permetta di esternarLe quanto segue.
Cominciando dai
primi due “atti di accusa”, contenuti nel passo da Lei così vergato: “sino ad
arrivare alle offese vere e proprie, oltre che a precise insinuazioni (leggasi
per esempio la lettera del dott. Fardella dell'8 agosto ore 16.36 e molte altre)”, dove Lei, con maestria ciceroniana, dando il
meglio di sé e della Sua abilità nell’ars
scribendi, porge al lettore una rappresentazione confusionaria,
non meglio precisata e, perciò, travisata dei fatti, riuscendo subdolamente a condurlo,
attraverso generiche ed indeterminate accuse, strettamente collegate all’inciso
immediatamente successivo (leggi: parentesi), a formarsi un convincimento totalmente
errato ed assolutamente fuorviato, facendogli credere che non solo si tratta di
me, ma altresì che io sarei un soggetto solito e aduso a pronunciare volgari
offese e basse insinuazioni.
A ben vedere,
la realtà è totalmente diversa da quella da Lei artificiosamente dipinta;
tuttavia, per poterla adeguatamente dimostrare, è preliminarmente necessario
che ci si chiarisca sui termini da Lei usati indiscriminatamente, perché - si
sa - le parole hanno un preciso senso, valore e peso ed è quindi opportuno che
ci si intenda sull’esatto significato di “offesa” ed “insinuazione”, per
evitare che si debba fare un discorso tra sordi ed io, che ci sento benissimo, debba
essere costretto a gridare.
A tal fine,
penso sia più agevole, utile e per tutti più facilmente comprensibile far
ricorso al lessico comune e, dunque, ad un comune vocabolario, piuttosto che
richiamare noiose nozioni di diritto, quali articoli di legge o codici vari o
le innumerevoli pronunce giuresprudenziali.
Pertanto,
iniziando dal termine OFFESA, va rilevato
che sia lo Zingarelli, sia il Sabatini Coletti, sia la Treccani ne danno
sostanzialmente identica definizione, visto che la descrivono come quel “danno
morale che si arreca a qualcuno con atti o con parole, oltraggi o insulti” e -
aggiungo io, ampliando il significato - con parolacce o linguaggio scurrile e
volgare.
Orbene, in
virtù del suddetto significato, potrebbe cortesemente dirmi dove, come, quando e
verso chi io sarei stato offensivo?
Perché,
francamente, pur avendo rivisto tutti i miei scritti, non ho trovato alcuna
offesa, resa in tal senso a chicchessia e potendo, oltretutto, affermare con
fierezza che, quando scrivo e taluno mi aggredisce con pesanti offese o forti
provocazioni, reagisco attenendomi alla III^ legge della dinamica di Newton: ad
ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria; per cui, nessuno
può mai dire di essere stato da me offeso, al limite potrà soltanto dirsi “risentito”,
ma solo dopo che costui mi abbia rozzamente attaccato, profondamente offeso o pesantemente
provocato, come appunto è avvenuto in occasione dell’intervento dell’11/7/17,
delle ore 23,36 - da Lei poi, in un certo qual modo, sostenuto - dove un
anonimo, rivolgendosi a me, scrisse: “Se lei avesse la mente meno corta ….”, e a cui seguì una mia adeguata e
proporzionata reazione, che non rinnego, né ritratto, non costituendo questa -
a mio modesto avviso - alcuna offesa, ma al più una possibile sensazione di
“risentimento”.
Vede, se costui
avesse scritto “memoria meno
corta”, la mia reazione sarebbe stata di sicuro diversa, ma, per via del fatto
che le parole vanno soppesate, avendo il tapino usato un altro vocabolo, dall’evidente
valenza oltraggiosa, è risultato per me essere diffamante, ingiurioso e
“veramente offensivo”, tale da meritarsi quella mia reazione; tuttavia, se per
Lei, invece, avere la mente corta non rappresenta un’offesa, gliene faccio
simpatico omaggio e gliela giro molto volentieri, senza bisogno che si disturbi
a ringraziarmi.
Ed anche a
proposito del mio intervento dell’8/8/17, ore 16,36, che Lei cita ad esempio della
mia gratuita e smodata animosità, senza però mai spiegare quale delle due
figure ricorra, Le ribadisco che non ho trovato traccia di alcuna offesa,
nemmeno quando ho usato il termine VERGOGNA, perché gli stessi summenzionati vocabolari,
specialmente il Garzanti, la definiscono in buona sostanza come: “un sentimento
di costernazione derivante dalla consapevolezza che un’azione, un
comportamento, un discorso ecc., propri o anche di altri, sono sconvenienti o
ingiusti”.
Quindi, alla
luce del significato sopra illustrato, non trattandosi di parolaccia, né
un’ingiuria, né di diffamazione, non vedo dove Lei abbia potuto cogliere gli
estremi dell’offesa, essendo assolutamente indubbio che siffatta espressione rientra
pienamente in quel diritto di critica che è costituzionalmente garantito, a
meno che Lei - forse, perché in possesso di un codice di nuovissima edizione, con
articoli che io non conosco - non voglia attribuirmi di aver commesso un reato,
di recente istituzione e solo a Lei noto: il “delitto di critica”; in tal caso,
mi dichiaro reo confesso, sperando che mi vengano riconosciute le attenuanti
generiche.
Concludendo
tale aspetto, non posso fare a meno di farLe notare che sembra non essersi
accorto, tanto è accecato
dall’odio verso di me, che in
ben altri quattro interventi, tutti successivi al mio, postati esattamente
nelle seguenti date ed orari:
- 8/8/17, H
19,09;
- 8/8/17, H
21,05;
- 9/8/17, H
11,04;
- 9/8/17, H
12,33;
dunque, molto
prima del Suo articolo (12/8/17, H 19,06), è stata ripetutamente usata la
parola VERGOGNA, ma Lei ha sentito stranamente il bisogno o l’ obbligo di
insorgere solo contro di me; allora, la domanda è, purtroppo, inevitabile: è
possibile che qualcuno Le abbia chiesto scrivere qualcosa nei miei confronti?
E, in caso affermativo, è possibile conoscerne il motivo? O ciò è semplicemente
dovuto a quell’odio viscerale che Lei nutre e mi porta (per il quale, Le
ripeto, non vi è in me alcuna reciprocità, anzi, la apprezzo molto, non fosse
altro che per quella incrollabile fede di appartenenza di cui è dotato e che Le
fa onore)?
Nel trattare, a questo punto, il capo di
imputazione relativo alle INSINUAZIONI,
riportandoci sempre al significato dato dai vocabolari, che, in modo pressoché
uniforme, così definiscono tale termine: “accusa di colpe vere o presunte,
espressa non apertamente ma in forma di allusione; maldicenza non esplicita, maligna
allusione volta a gettare il sospetto su qualcuno”, è di tutta evidenza che il necessario
e naturale presupposto, perché ricorra siffatta figura, è l’allusione espressa e, a seguire, le frasi
vagamente accusatorie, unicamente finalizzate a far sorgere dei sospetti.
Orbene, nel permettermi di sottolineare
che anche in questa circostanza Lei, richiamando esplicitamente il mio
intervento dell' 8 agosto, ore 16,36, continua in modo imperterrito ad accanirsi
esclusivamente contro di me, tanto è accecato da quell’odio di cui sopra (riaffermo,
assolutamente non ricambiato), da non aver volutamente notato che sia lo stesso
anonimo dell’11/7/17, delle ore 23,36, sia quello del 12/7/17, delle ore 23,33,
da Lei citato, mi hanno fatto oggetto di una malevole allusione ed una
esplicita maldicenza e che ciò rappresenta, per quanto sopra precisato, una
chiara, bassa, volgare e spregevole INSINUAZIONE, riguardo la quale Lei - a
dispetto di quel Suo dichiarato senso di disturbo e di disgusto verso chi solleva
insinuazioni - non solo non ha avvertito alcuna necessità di operare
un’opportuna presa di distanza, ma li ha addirittura sostenuti ed appoggiati,
dando l’impressione di volerli persino applaudire.
E’ davvero singolare come Lei possa
provare repulsione e ribrezzo a seconda dei casi: perché, come dimostrato dalle
Sue parole, quando le “insinuazioni” muovono in direzione dei Suoi amici, Lei insorge,
divenendo rigorosamente caustico ed iper-sensibile; ma, quando queste vanno nel
senso opposto, stende un omertoso ed eloquente velo di silenzio; mi permetta la
battuta, ma sembra che Lei conosca solo INSINUAZIONI A SENSO UNICO.
Ciò non Le fa onore, perché getta una
ampia ombra di faziosità e parzialità sulle Sue splendide, profonde,
equilibrate ed oggettive opinioni, facendo perdere alle stesse buona parte di
credibilità.
Ma tornando alle INSINUAZIONI a me attribuite, poiché la sussistenza di queste è per
me assolutamente poco chiara, visto che nulla Lei specifica in merito, potrebbe, di grazia, precisarmi dove le
ha ravvisate? Come, quando
e verso chi le avrei pronunciate? Quale sensibilità avrei toccato? La
suscettibilità di chi avrei urtato?
Perché, dopo avere passato, pure qui, in rassegna tutti i miei
interventi, io non ho trovato alcuna traccia.
Il Suo significativo silenzio sull’argomento
mi porta fondatamente a propendere per l’assoluta inesistenza di simili figure;
tuttavia, per puro tuziorismo difensivo (come dicono i dotti), in un supremo sforzo interpretativo, anche
a voler cercare qualcosa laddove non c’è nulla, sarei portato a supporre che
Lei le abbia artatamente individuate nel passo in cui io parlo di un uso
distorto delle strutture federali e, da qui, tenta di affibbiarmi concetti ed
opinioni che non ho mai, neppure velatamente, supposto, quali il fatto che la
giustizia sportiva risponda a finalità politiche e non a quelle cui è preposta,
nel vano e completamente non riuscito sforzo di far ricadere su di me inesistenti
responsabilità.
Nella ricorrenza di tale ipotesi, mi
spiace doverLe dire che ha totalmente confuso il senso delle mie parole;
pertanto, La invito a rileggere meglio il passo di che trattasi, magari senza
suggeritori che La possano influenzare, distrarre o confondere, perché, se lo avesse
attentamente letto, si sarebbe senz’altro accorto e avrebbe di certo capito che
mi riferivo all’immotivato ed ingiustificato ricorso (uso) che spesso alcuni
fanno alla giustizia sportiva, e che non ho mai detto che tale organo utilizza
in maniera distorta le sue competenze e attribuzioni. A riprova del fatto che è
esclusivamente questa la mia opinione al riguardo, La invito a rileggere anche
l’altro mio intervento, sullo stesso articolo, pubblicato il 13/7/17, alle ore
12,49, che qui ripropongo testualmente, pensando di farLe cosa gradita: “Siamo
al solito modus agendi: il ricorso
forzato e strumentale (oltre che improprio) alla giustizia federale, per il
perseguimento di scopi esclusivamente politici, che non si sanno o possono
raggiungere”.
Tutto quanto sopra esposto dimostra
chiaramente che, quando devo dire come la penso, non ho bisogno di ricorrere a
discorsi allusivi, lo faccio apertamente, in maniera netta, precisa ed
evidente, senza ricorrere ad espedienti di sorta e, soprattutto, mettendoci
nome, cognome, firma, faccia e alle volte pure la voce, come quella volta, nel
lontano 1998-99, in cui, insieme all’amico maestro Giovanni Augugliaro, ho
partecipato alla trasmissione radiofonica, Rai Radio a Colori, condotta dal
compianto Oliviero Beha; in quella sede, in diretta radio ed in contraddittorio
con l’allora Presidente FIS, prof. Antonio Di Blasi, contestammo la conduzione
federale, avanzando forti critiche, tanto che poi fummo deferiti entrambi.
Su tale episodio, mi sia consentita una piccola
digressione che mi piace ricordare: uno degli argomenti di critica che portammo
in trasmissione fu proprio l’uso della carta “Mille-Miglia” (è giusto
precisare, ad onor del vero, non solo quella del Presidente) o, meglio, l’utilizzo
dei bonus (viaggi premio) maturati attraverso l’acquisto dei biglietti, che,
secondo noi, andavano destinati all’uso federale e non personale, nell’ottica
dell’ottimizzazione delle risorse economiche della FIS. Ma la particolarità che
mi piace sottolineare, oltre al fatto che eravamo avanti di quasi vent’anni, è
la circostanza che qualcuno allora ci disse che avevamo ragione.
Nel concludere l’argomento relativo all’uso
distorto che certuni fanno della giustizia sportiva o, se preferisce, dei ricorsi
disciplinari da sottoporre a questa, di cui la storia della Federazione è piena,
vale la pena ricordarne alcuni, tra cui - vado a memoria - i seguenti:
- 1992, il maestro Giovanni Augugliaro subì
un deferimento, perché intese porre la sua candidatura al Consiglio federale,
malgrado l’energico divieto presidenziale; la cosa poi sfociò nel Tribunale
ordinario, che diede ragione al Maestro;
- 1994, io e mio padre, per essermi
candidato al Consiglio federale ed aver fatto parte della squadra che sosteneva
il Prof. Di Blasi alla carica di Presidente FIS, cariche alle quali, da lì a
poco, fummo entrambi eletti; mio padre, invece, venne deferito per riflesso,
appunto perché appoggiava me e, di conseguenza, Di Blasi (quando si dice: le
colpe dei figli ricadono sui padri); la vicenda disciplinare si concluse col
rigetto del deferimento e l’assoluzione di tutti gli incolpati;
- 1997/98, io, Mauro Numa, il Maestro
Giovanni Augugliaro e lo scomparso Dott. Giancarlo Lucarelli andammo sotto
disciplinare per aver scritto e diffuso una lettera aperta, in cui esprimevamo
il nostro dissenso su alcune scelte federali;
- 1997/98, gli stessi soggetti di cui
sopra risposero chiedendo il deferimento del Presidente, Prof. Di Blasi;
entrambe le questioni si risolsero con buona pace per tutti;
- 1998/99, io ed il Maestro Giovanni
Augugliaro fummo deferiti per aver partecipato alla summenzionata trasmissione
radiofonica; il procedimento non continuò innanzi il Giudice sportivo,
essendosi fermato al vaglio del Procuratore federale, che archiviò il tutto;
- 2002/03, il Maestro Saverio Crisci,
tramite nota inviata al Consiglio federale, sollecitò tale organo ad adottare provvedimenti
disciplinari nei confronti del Dott. Marco Cannella, allora delegato GSA per il
Lazio, colpevole di aver sostituito, in un assalto, l’arbitro designato dalla
Direzione di Torneo, evento che - a dire del Maestro Crisci - avrebbe
determinato la sconfitta della sua atleta; la richiesta non ebbe alcun seguito,
perché non fu ravvisata alcuna violazione;
- 2004/05, il Presidente, Prof. Antonio Di
Blasi, alla vigilia delle votazioni per il rinnovo delle cariche federali, ove
il Maestro Scarso si candidava per la prima volta alla poltrona presidenziale,
fu deferito su richiesta del Maestro Giovanni Augugliaro; il giudizio si
concluse poco tempo prima delle elezioni ed il Prof Di Blasi ricevette una
ammonizione semplice;
- 2006, il Presidente, Maestro Giorgio
Scarso, subì un deferimento su istanza del Maestro Giovanni Augugliaro; sulla
richiesta del Procuratore federale di condanna dell’incolpato a 90 giorni di
squalifica, il giudizio si concluse con la condanna del Presidente a 45 giorni
di squalifica e conseguente sospensione dalle attività federali;
- 2006, il Maestro Giovanni Augugliaro
subì un deferimento su istanza del Presidente, Maestro Giorgio Scarso, avanzato
in risposta a quello contro il medesimo precedentemente chiesto dal primo; sulla
richiesta del Procuratore federale di condanna dell’incolpato a 30 giorni di squalifica,
il giudizio si concluse con la condanna del Maestro Augugliaro a 15 giorni di
squalifica e conseguente sospensione dalle attività federali;
- 2006, a seguito di appello presentato
dal Presidente avverso la succitata sentenza, questa venne parzialmente
riformata, visto che, pur essendo stata revocata la sanzione dei 30 giorni di
squalifica, al Presidente Scarso venne inflitta la sanzione dell’ammonizione
con diffida, essendo stata comunque riconosciuta la sua responsabilità
disciplinare, per alcune dichiarazioni rese ai danni del Maestro Augugliaro;
- 2008, il Col. Ezio Rinaldi ricevette una
richiesta di deferimento dal Consiglio federale, per aver pronunciato, in un
momento consiliare, una frase ritenuta offensiva; il Procuratore, esaminati gli
atti, archiviò la richiesta;
e senza nulla dire che, nei recenti anni
scorsi, il Dott. Cannella denunciò, trascinandoli in Tribunale (quello
ordinario e non sportivo), il Dott. Fileccia e il Col. Rinaldi; il giudizio si
concluse con piena soddisfazione per questi ultimi.
E arriviamo, finalmente, all’argomento per
Lei più pruriginoso, visto che Le suscita una morbosa, ossessiva e parossistica
curiosità - tanto da permettermi di appellarLa DELFINO CURIOSO - e che, in
realtà, rivela tutta la Sua incoerenza, incongruenza e contraddittorietà, nonché
la Sua ingannevole, apparente e finta unica identità e libertà di pensiero.
Per meglio comprendere ciò, è necessario
riferirci alla relativa frase, che recita testualmente: “A proposito
del dott. Fardella, avevo seguito con molta attenzione alcuni interventi che lo
riguardavano (10 luglio, interventi delle ore 01.08 - 07.43 e 23.33) per i
quali, soprattutto per l'ultimo, ci si aspettava una doverosa risposta che però
non e' mai arrivata”.
Orbene, al di
là del fatto che la data dei richiami inseriti nell’inciso è errata, essendo quella
corretta il 12 luglio e non il 10, non può farsi a meno di evidenziare come, in
detta frase, con particolare riguardo all’intervento delle ore 23,33, emergono alcuni
importanti e significativi elementi, assolutamente rivelatori del fatto che
tali scritti sono il prodotto, se non della stessa mano, quanto meno di un’unica
regia, giacché:
- l’anonimo del
suddetto intervento è, per esplicita ammissione di costui, quello stesso autore
che si rivolse a me l’11/7/17, alle ore 23,36, attaccandomi pesantemente con
basse, squallide e volgari insinuazioni;
- sempre il
medesimo articolo (quello delle ore 23,33), da Lei citato, è assolutamente
sovrapponibile, per stile, taglio, forma e schema di scrittura, al Suo del
12/8/17, ore 19,06;
- pur avendo
Lei manifestato forte disprezzo su chi insinua ed offende, nulla però ha detto circa
le insinuazioni e offese a me rivolte da tale soggetto, mostrando anzi di condividerne
il pensiero;
- solo gli
interventi dell’11/7, ore 23,36 e 12/7, ore 23,33, insieme al Suo, fremono per
una mia risposta, apparendo chiara la provocazione riportata nella parte finale
del periodo.
E’, dunque,
palese che la matrice di tali interventi è unica ed a nulla è servito il
nascondersi dietro un poco nobile anonimato, nell’illusorio sforzo di indurre
chi legge a pensare che si tratti di diversi soggetti, perché - come sopra
chiarito - la realtà non è così: chi ha scritto è soltanto UNO, anche se su
commissione, il quale ha cercato di dare l’impressione che a farlo siano stati in
tanti.
Ciò mi riporta vagamente
alla memoria il romanzo, forse più famoso, di Pirandello: “Uno, nessuno e centomila”, dove il protagonista, accortosi di
apparire agli altri non come credeva di essere (Uno), ma in “centomila” modi diversi, in profonda
crisi di identità (Nessuno), decide di avviare un processo di ricerca per ritrovare
se stesso, nella speranza di scoprire chi è veramente, ma ritrovandosi, alla
fine, frantumato
nei suoi “centomila” alter ego.
E allora, egregio
sig. Anonimo, viste le Sue tante (mal)celate identità, ove fosse alla ricerca di
quella autentica (specialmente nel caso di difformità tra pensatore e
scrittore), per sentirsi accolto e riconosciuto nel contesto in cui abitualmente
si muove, a quali delle seguenti figure ritiene di essere più vicino: Il
condottiero mascherato? Il compattatore di consensi? Il mietitore di voti? L’enzima
catalizzatore? La mente pensante? Il saggio illuminato? Il numa ispiratore? La
guida spirituale? Il capo carismatico? La penna parlante? Il messaggero degli
dei? L’angelo vendicatore? Un moderno cicisbeo?
Nell’attesa che
si decida, passo ad affrontare la Sua provocazione finale, con la quale Lei, implicitamente
tornando sull’argomento, mi invita a fare luce sull’ignobile deferimento subito
e, quindi, prendendo in prestito il titolo di un celebre romanzo di Fëdor Dostoevskij
- che certamente avrà letto - , a rendere pubbliche le mie “Memorie dal sottosuolo”.
Le dico subito
che mi trovo in assoluto disaccordo e che trovo l’afferente espressione
pronunciata in modo tendenzioso, perfido e malevole, nel chiaro ed ingannevole
intento di far credere che la questione interessa a molti e che Lei è in
possesso di verità che io non voglio svelare: FALSO.
Infatti, nell’evidenziare
che, secondo il trend di questo Blog, la gente che ha mostrato “interesse” a tale
aspetto non è quella gran moltitudine che vorrebbe far credere Lei, ma soltanto
uno o, al massimo, due soggetti: Lei ed il Suo committente (per me, poi, perfettamente
coincidenti con quell’uno), mi permetto sommessamente di rammentarLe - visto
che sembra esserLe stranamente sfuggito - che con il termine “doveroso” ci si
riferisce ad un obbligo che trova il suo fondamento, il più delle volte, nella
legge, e che pertanto sussiste un siffatto obbligo solo quando ci si trova al
cospetto di:
- un giudice;
- un tutore
dell’ordine;
- di un
insegnante;
- di un
superiore gerarchico;
- dei genitori;
- del proprio
partner.
Ora, nella
considerazione che Lei non è nessuna delle su specificate figure (non è mio
padre, né mia madre, né un mio professore, né il giudice della causa, né tutore
di alcun ordine, né un mio capo, né mia moglie), è di assodata ed
inequivocabile certezza che non ho alcun obbligo né verso di Lei, né verso
qualunque altro genere e tipo di DELFINO CURIOSO.
Se poi si riflette
- ma vedo che Le risulta difficile - sul fatto che, nella specie, non solo in
ossequio a quello che fu un mio preciso obbligo di legge, ho già risposto al giudice
competente, il quale, alla fine, mi ha scagionato del tutto, ma anche in
adempimento a quello che fu un mio sentito obbligo morale (forse ciò a cui
allude), ho dato esatta, precisa, compiuta, totale e rigorosa descrizione degli
accadimenti, dei fatti a me imputati, delle mie difese, per ben due volte:
- la prima a
Terni, un paio di mesi prima delle votazioni, davanti un consesso di circa 30 persone
(tra cui: Mauro Numa, Francesco Tiberi, Mario Micheli, Giovanni Augugliaro,
Antonio Di Blasi, Calliope Scarpa, Ezio Rinaldi, Carlo Macchi, il compianto
Alberto Pellegrino);
- la seconda a
Roma, la sera prima delle elezioni, in un consesso ancor più ampio, essendo
presenti tutti i sostenitori della presidenza Di Blasi; in quel contesto, io
rimisi la mia candidatura nelle mani e nella volontà dell’intero gruppo, e
questo, confermandomi la fiducia, continuò a sostenermi, tanto che poi venni
eletto;
non vedo il
motivo per cui dovrei soddisfare le assurde, ignobili e patetiche voglie di
qualcuno che, senza alcun titolo, qualifica, motivo o ragione, pretenderebbe di
avere da me soddisfazione.
Pertanto, insisto
nel dire che trovo tale strumentale ed artefatta richiesta alla stregua di una
squallida provocazione, avanzata in totale mala fede, nel maldestro ed inutile
intento di mettermi il bavaglio, screditando la mia persona, colpevole di
essere pesante o indigesto o antipatico o insopportabile o odioso. O, molto più
semplicemente, fastidioso, forse perché parlo apertamente ed esprimo senza
paura le mie condivise opinioni? In tale ultimo caso, sarebbe come dire che io
ho il torto di avere ragione.
Tuttavia,
proprio perché non ho nulla da temere, né niente da nascondere, né alcuno da
ringraziare, sono disponibile, egregio sig., dott., avv., I° presidente di
Cassazione civile e penale a sezioni unite, nonché luminare del diritto, a non invocare
principi a Lei ben noti, quali il già formato giudicato, il ne bis in idem, il diritto all’oblio, in
spregio al quasi quarto di secolo trascorso, a rispondere alle Sue domande, a
condizione che Lei voglia confrontarsi ad armi pari e quindi proceda
preliminarmente e preventivamente a fornire e chiarire tutti, nessuno escluso,
i seguenti elementi e circostanze:
- innanzitutto,
la sicurezza, certezza e piena dimostrazione che si tratti di Lei e non altri;
- la Sua vera
identità, mettendo nome, cognome e volto, allegando apposito documento di
riconoscimento;
- le generalità
complete dell’anonimo dell’11/7/17, delle ore 23,36;
- il motivo per
cui nessuno parla della condanna inflitta al Presidente Scarso il 25/9/06, che
ha comportato 45 giorni di squalifica;
- la verità sui
reali motivi della sentenza di appello del 20/10/06, che ha revocato detta
squalifica;
- le vere
ragioni (giuridiche e non) con cui si è pervenuto a tale pronunciamento;
- la conferma
del fatto che, qualche giorno prima dell’udienza finale, molte persone, che
frequentano e praticano la scherma, andarono a trovare l’avv. Paragallo;
- l’esatto ed
effettivo motivo per cui, qualche giorno prima della suddetta occasione, in
molti sentirono l’esigenza, il bisogno, la necessità di incontrare l’avv.
Paragallo;
- la conferma
del fatto che, tra queste persone, vi fossero anche i miei amici: Maestro
Andrea Cipressa, Maestro Saverio Crisci e Michele Maffei (che qualcuno avrebbe
dovuto ancor oggi ringraziare);
- la
spiegazione di come, in occasione del procedimento di appello, iniziato alle
ore 13,10 e conclusosi alle ore 13,40, si sia potuto raccogliere le presenze,
svolgere il dibattimento, verbalizzare le dichiarazioni dei contendenti,
ritirarsi per deliberare, scrivere, stampare, controllare, collazionare e
sottoscrivere una sentenza di 9 pagine, in un lasso di tempo di soli 30 minuti;
- il motivo per
cui nessuno parla del fatto che la sentenza di appello, pur avendo revocato la
pena più alta, ha ugualmente e comunque affermato delle responsabilità
disciplinari a carico del Presidente Scarso, tanto che gli è stata inflitta la
sanzione dell’ammonizione con diffida.
Ove Lei farà la
Sua parte, rispondendo in maniera completa, integrale ed esaustiva a tutti -
nessuno escluso - i sopra elencati interrogativi, e nelle forme e modalità ivi
precisate, allora anche io farò la mia.
Nel frattempo, mi
permetta di suggerirLe di evitare, per il futuro, di prestare la Sua cultura,
intelligenza, cervello, preparazione ed istruzione ad altri, nella segreta speranza
- se non proprio pia illusione - di avere o mantenere un posto al sole, ciò non
Le rende merito, non Le fa onore ed, oltretutto, Le fa correre il rischio che i
lettori La vedano come il principe Myškin, il protagonista del celeberrimo romanzo di Fëdor Dostoevskij: “L’idiota”.
Con immutata
stima.
Gaspare
Fardella"