Di fronte alle obbligate proposte di cambiamento relativo ad alcune
situazioni ormai non più sopportabili dal “popolo” che rappresenta il movimento
schermistico italiano, il rischio più probabile (poiché abbastanza frequente) è
proprio questo: che alcuni fautori del cambiamento, in realtà attaccati alla
conferma di privilegi che non intendono perdere, giungano alla stessa
conclusione a cui giunse il giovane Tancredi:” Se non ci siamo anche noi, quelli
ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che
tutto cambi. Mi sono spiegato?”SPERLINGA Gianni
Altrochè, s
e si è spiegato, eccome!
Secondo me, un modo per evitare che si realizzi questa, che a me pare più
che una ipotesi, è stabilire a priori e pubblicamente cosa si vuole cambiare e
come lo si vuole cambiare.
Il cambiamento che la presente “aristocrazia” della scherma deve realizzare
non può non avere come principale destinatario il su citato “popolo della
scherma”: le piccole società, i tecnici delle piccole società, gli atleti delle
piccole società.
Cominciamo col prendere in esame uno dei fattori che più di altri avvelena
le piccole società, in quanto ne riduce gli stimoli, ne abbatte gli entusiasmi,
ne inaridisce le iniziative: la continua, incessante, sottrazione del prodotto del loro
lavoro. Realizzato principalmente da due diffusi comportamenti:
1) La facile inclusione degli atleti più promettenti nei privilegiati Gruppi Sportivi Militari.
2) Il favorire la trasmigrazione di numerosi atleti, grazie ad
un assolutamente ridicolo e affatto efficace regolamento relativo ai
trasferimenti.
Per reiterare la mia idea in proposito, maturata dall’ ormai trentennale
esperienza diretta, riporto quanto scritto, in passato, al Presidente Scarso
(nulla è cambiato?!?) e, di recente, a parecchi “amici” interessati al
cambiamento.
“Da tempo sostengo in tutte le occasioni e a tutti i livelli l’idea che il
trattamento di privilegio che la Federazione riserva ai Gruppi Sportivi
Militari rappresenta una ingiustizia, un danno, un vero schiaffo in faccia alle
Società “civili”.
Allorché, grazie ad un impegno serio e puntuale, ad una indiscutibile
competenza, ad un lavoro lungo e responsabile, queste riescono a far emergere
un/a loro atleta, i Gruppi Sportivi Militari si lanciano all’attacco
dell’ennesima preda, “cibo” indispensabile alla loro sopravvivenza, spogliando
di fatto la società del frutto di tanto lavoro e godendone i vantaggi senza
aver fatto alcunché né per produrre questi frutti, né tanto meno per
meritarli.”
Con ciò (a me sembra evidente) non intendevo, né intendo, sostenere
l’eliminazione di questo aiuto dato ai nostri atleti, che anzi, poiché sono i
pochi a portare nel mondo una immagine pulita e apprezzabile del nostro paese,
meriterebbero retribuzioni ben più consistenti. Mi riferivo, diversamente da
quanto superficialmente sostenuto allora, in occasione di un convegno tenuto a
Roma, dal ns Presidente e dall’allora Col. Parrinello, al ricorso
indiscriminato a questa situazione da parte di una pletora di militari di tutti i gradi e
al danno provocato alle società e ai Maestri formatori dei ns campioni, ai
quali nulla viene riconosciuto dagli stessi Gruppi sportivi (sigh) militari né
dalla federazione (che, bontà sua, finge di rispettarli “riconoscendo”
loro i “punteggi” così conseguiti).
Argomentavo, in quella occasione, anche sulla conseguente “beffa” dei
Campionati a Squadre di A1, sottolineando come queste riflessioni siano
condivise da molti “addetti ai lavori” e da molte Società, gli interessi e la
salvaguardia delle quali non sembrano stare a cuore alla FIS più della
salvaguardia degli interessi dei Gruppi Militari.
Durante l’ormai lontana Assemblea di Monza la problematica fu posta con
chiarezza e la sua legittimità fu sostenuta anche da alcuni rappresentanti dei
Gruppi militari presenti.
“Il Presidente G. Scarso ne riconobbe “coram populo” l’importanza, si disse
d’accordo (non riesco a ricordare una volta in cui non lo sia stato) e promise
di organizzare “un tavolo” per discuterne e trovare soluzioni accettabili sia
per i Militari che per le Società civili.
Il “tavolo”, ordinato forse a qualche oscuro ed incompetente falegname, non è ancora
pronto.
Probabilmente ne sapremo qualcosa alla prossima assemblea, nella quale ritengo probabile
che il nostro Presidente, rimandando ad un altro tavolo, si dichiarerà
certamente d’accordo”
Gianni SPERLINGA