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18 febbraio 2025

IL GIOCO DEI TRE CT

In campagna elettorale questa faccenda dei tre CT della scherma sembrava il gioco delle tre carte,  quello che si vede ai bordi delle strade a Napoli. Uno che muove l’asso e le figure, il compare che punta e vince, quello che punta e perde e infine il pesce che abbocca, il quale prima vince facile, e poi viene ripulito a dovere.

Dalle voci disordinate di Radio scherma prima che il Consiglio federale deliberasse, si pensava che le teste rotolanti lungo la pedana sarebbero state tante. Invece il 15 febbraio a Catania ha prevalso il buon senso, non il cambiamento come hanno sbandierato per mesi in campagna elettorale.

Sulla PIAZZA fu scritto a chiare lettere che il settore spada era stato ben organizzato, mentre sciabola e fioretto erano più in difficoltà e così il Consiglio ha deciso di mantenere Chiadò e rinnovare le armi convenzionali.

Il tema infatti non erano le medaglie, ma la pratica di fioretto e sciabola, che in Italia sono ridotte al lumicino. Passi il fioretto che sopravvive per mano di pochi eroi romantici che insegnano l’arma delle armi, ma la sciabola da anni sente echeggiare il de profundis un po’ ovunque. I più moderati la consideravano già morta e finanche sepolta e solo qualche coraggioso pirata abbordava il settore, benché poi fosse costretto a pentirsi per certi insormontabili problemi di vario genere e livello.

Eppure è da plaudire la decisione federale di mantenere Dario Chiadò alla spada. Lui infatti ha organizzato con precisione i CAF, ha seguito bene le nazionali minori, e si è coordinato con i CT delle nazionali giovanili, per avere sempre un ricambio fresco nella nazionale maggiore e una visione globale di un’arma molto praticata, cosa non del tutto scontata. E anche se i risultati sono sempre difficili da ottenere, alcuni record li ha raggiunti, come la sorprendente medaglia d’oro nella squadra femminile a Parigi.

Vorrà dire che Vanni, Aquili e Terenzio, dovranno, almeno un pochino, fare tesoro dell’esperienza della spada e rimboccarsi le maniche per conoscere le realtà locali, non solo fidandosi dei risultati delle gare nazionali o del consiglio di qualche maestro amico che la vede più lunga di loro. Considerato che sono tutti e tre sotto i cinquant’anni, la speranza è corroborata da parte loro da una forte sensazione di “voglia di fare”, che riscalda i cuori.

Cerioni intanto non sembra averla presa bene. Anzi la risposta mediatica che ha scatenato la decisone federale, vorrebbe difendere il medagliatissimo jesino che sperava in un rinnovo, forse per chiudere in bellezza e in casa una carriera sfolgorante visto che nel 2028 avrà 64 anni. Più di tutte però è stata la risposta bruciante data da chi lo ha chiamato per dirgli che il contratto non era stato rinnovato, ovvero che la scelta di Vanni nasceva dal “desiderio di cambiare, con rischi annessi, senza togliere nulla al valore subentrante e di proporre stimoli differenti a un movimento all’inizio di un nuovo corso”.

Su questa decisione forse conta molto anche una storia fiorettistica pregressa, che voleva Vanni CT già dal 2021, nome suscitato nel seno della stessa squadra in quel periodo, a valle di presunti dissapori dell’allora capitano del fioretto Daniele Garozzo nei confronti del CT, Andrea Cipressa. Malumori che si concretizzarono in una celebre lettera che l’allora campione ora vicepresidente vicario scrisse per farlo rimuovere.

Viste le scosse telluriche nell’arma, Paolo Azzi prese la decisione salomonica di accontentarli solo a metà, togliendo Cipressa e invece di mettere Vanni, mise al suo posto Cerioni, che aveva carisma ed esperienza, dandogli uno stipendio dalla FIS, ben integrato dal CONI, per evitare che andando in Francia dove aveva avuto una lauta proposta, avrebbe fatto quasi di certo vincere i transalpini nelle olimpiadi parigine, ma a spese degli italiani.

La scelta di mettere Cipressa a capo dei tre CT serviva quindi per coordinare quella terna di Commissari tecnici composta da Chiadò, Tarantino e Vanni, che fu a suo tempo sì una vera e propria rivoluzione, ma fin da subito divenne quella che conosciamo oggi composta da Chiadò, Zanotti e Cerioni.

Oggi quella rivoluzione che vediamo firmata Mazzone, è per i più addentro la materia, un qualcosa di dejàvu, e il cambiamento di cui si parlava all’inizio, o se preferite in campagna elettorale, non c’è o forse non c’è mai stato, anzi è stato fatto all’insegna della continuità, come se il Consiglio federale non si fosse mai rinnovato.

Un paradosso che nella scherma è oramai una sorta di regola.

Fabrizio ORSINI

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