Dott Maurizio FUMO |
La recente decisione
del tribunale federale FIS (n. 3/2019 del 18.7.2019, con motivazione depositata
sette giorni dopo, vale a dire il 25) merita di essere letta con attenzione .
Essa è stata
originata dai ricorsi proposti da alcune società che, lamentando vizi di forma
e di sostanza, hanno chiesto l’annullamento della deliberazione della assemblea
nazionale straordinaria della federazione scherma, tenutasi il 19.5.2019,
avente ad oggetto la modifica dello statuto federale, e, in subordine,
l’annullamento del contenuto di alcuni articoli di tale nuovo statuto.
Il dispositivo della
decisione recita: “dichiara
l’incompetenza funzionale del tribunale federale a pronunciarsi sui punti primo
e secondo del ricorso; accoglie il ricorso limitatamente ai punti di cognizione
retrostanti al terzo motivo nei limiti di cui in motivazione”.
Il dictum non è - come è ovvio - pienamente comprensibile (né intellegibile è il perimetro del disposto annullamento) se non si leggono le argomentazioni e i passaggi logico-giuridici esplicitati nella ricordata motivazione.
Il dictum non è - come è ovvio - pienamente comprensibile (né intellegibile è il perimetro del disposto annullamento) se non si leggono le argomentazioni e i passaggi logico-giuridici esplicitati nella ricordata motivazione.
Innanzitutto il
tribunale ritiene - correttamente - necessario rispondere a una eccezione
preliminare che la difesa della FIS aveva sollevato, sostenendo che i ricorsi
fossero inammissibili in quanto, a suo dire, le varie società non avevano
interesse al richiesto annullamento del nuovo statuto.
Si tratta di una tesi (quella della federazione) davvero singolare (e manifestamente infondata) cui i giudicanti rispondono con poche, ma incisive, frasi, osservando che, se un associato, che per altro ha partecipato all’assemblea, lamenta il fatto che essa si è svolta in aperta violazione di norme di legge o di regole poste dallo statuto, l’interesse a chiedere l’annullamento del deliberato assembleare è, per così dire, in re ipsa. È ovvio infatti che, solo a seguito del regolare svolgimento della riunione assembleare, può essere correttamente “partorita” la volontà di un soggetto collettivo, quale è (e dovrebbe essere, ad onta delle derive autoritarie che ne stanno caratterizzando la vita in questi ultimi tempi) la federazione italiana scherma. La partecipazione dei ricorrenti all’assemblea straordinaria del 19 maggio, naturalmente, non determina alcun effetto sanante (checché ne pensi il difensore della FIS), atteso che proprio della regolarità della sua costituzione e del suo svolgimento le società ricorrenti si dolevano. D’altronde, la tesi “dei federali” ha come implicito presupposto che i dissenzienti non possano (non debbano?) avere alcuno strumento per far valere il loro dissenso. Il che, conoscendo il modus operandi esibito dalla FIS negli ultimi tempi, non può davvero sorprendere.
Si tratta di una tesi (quella della federazione) davvero singolare (e manifestamente infondata) cui i giudicanti rispondono con poche, ma incisive, frasi, osservando che, se un associato, che per altro ha partecipato all’assemblea, lamenta il fatto che essa si è svolta in aperta violazione di norme di legge o di regole poste dallo statuto, l’interesse a chiedere l’annullamento del deliberato assembleare è, per così dire, in re ipsa. È ovvio infatti che, solo a seguito del regolare svolgimento della riunione assembleare, può essere correttamente “partorita” la volontà di un soggetto collettivo, quale è (e dovrebbe essere, ad onta delle derive autoritarie che ne stanno caratterizzando la vita in questi ultimi tempi) la federazione italiana scherma. La partecipazione dei ricorrenti all’assemblea straordinaria del 19 maggio, naturalmente, non determina alcun effetto sanante (checché ne pensi il difensore della FIS), atteso che proprio della regolarità della sua costituzione e del suo svolgimento le società ricorrenti si dolevano. D’altronde, la tesi “dei federali” ha come implicito presupposto che i dissenzienti non possano (non debbano?) avere alcuno strumento per far valere il loro dissenso. Il che, conoscendo il modus operandi esibito dalla FIS negli ultimi tempi, non può davvero sorprendere.
È noto che
l’interesse ad agire in giudizio consiste nella possibilità di ottenere dal
giudice una decisione che rimuova gli effetti pregiudizievoli che l’atto che si
censura ha provocato all’agente e, poiché i ricorrenti hanno chiaramente
indicato quali erano le (illegittime) modifiche statutarie ritenute contra legem, contro i principi
fondamentali emanati dal consiglio nazionale CONI (e contro i loro interessi),
ecco che l’interesse ad agire si è manifestato, non solo sul piano astratto
(corretta formazione dell’assemblea e corretti meccanismi deliberativi), ma
anche su quello concreto.
A questo primo, fantasioso, argomento della difesa FIS appare logicamente collegato quello in base al quale solo la giunta del CONI sarebbe legittimata a verificare il recepimento dei predetti principi negli statuti delle singole federazioni. E qui lo stato “confusionale federale” è evidente perché si sovrappone la funzione di un organo di controllo (il CONI, che non ha bisogno di ricorrere al giudice se una federazione “sgarra”, potendo limitarsi a non dare il suo placet a una modifica statutaria ritenuta incompatibile), con gli strumenti a disposizione delle singole società affiliate, le quali hanno necessità di giurisdizionalizzare il conflitto. Ancora una volta, dunque, la FIS ritiene che contro le deliberazioni dell’assemblea (e dunque di una maggioranza comunque costituita) non vi siano strumenti impugnatori. Ebbene gli erdogan di viale Tiziano hanno avuto dal giudice (di viale Tiziano) la risposta che meritavano: i ricorrenti sono titolari di “una situazione giuridicamente protetta nell’ambito dell’ordinamento federale”. In tale veste essi hanno pertanto dedotto la contrarietà del nuovo statuto ai ricordati principi fondamentali ed a norme di legge. Ma anche - è il caso di aggiungere - ad una sentenza - allo stato esecutiva - della autorità giudiziaria amministrativa (TAR Lazio). E che detti principi debbano ritenersi vincolanti per le singole federazioni è del tutto ovvio. Ma non per la FIS, che, guarda caso, sosteneva il contrario, sicché il tribunale si è visto costretto a ribadirlo, richiamando, a quanto si legge, il comma primo dell’art. 22 dello statuto CONI.
Con le prime due censure i ricorrenti avevano chiesto la declaratoria di invalidità della assemblea straordinaria, deducendo violazione delle norme che ne regolano la costituzione, nonché la irregolarità delle operazioni di voto e, inoltre, gravi carenze nella verbalizzazione. A tali censure il giudice sportivo dà risposta negativa, o meglio non dà risposta, ritenendosi funzionalmente incompetente, in quanto per invalidare l’assemblea – sostiene – i ricorrenti avrebbero dovuto adire, non il tribunale, ma, ai sensi dell’art. 18 comma nono del vigente statuto, la corte di appello federale. La conclusione che tuttavia ne trae il tribunale non ci sembra corretta, dal momento che esso afferma che, in conseguenza dell’erronea individuazione del giudicante, si deve ritenere che l’assemblea si sia svolta regolarmente. La decisione del giudice sportivo, invero, avrebbe dovuto essere unicamente di natura processuale: trascorso inutilmente il breve termine per la impugnazione, è maturata la decadenza in capo agli interessati. Non altro.
Con riferimento, poi, ai singoli articoli (in numero di 15) sui quali i ricorrenti chiedevano che il tribunale si pronunciasse, il giudice federale ha operato un distinguo. Liquidate (per vero, senza soddisfacente motivazione) come infondate le censure relative agli artt. 4, 16, 17, 18, 22, 50, 52 (parzialmente), 61, 67, 73, ha accolto quelle relative agli artt. 1 comma decimo, 17 comma quarto, 46, 52, 55, 60 comma sesto, 70. Censure, per la verità molto ben formulate da chi ha curato i ricorsi.
A questo primo, fantasioso, argomento della difesa FIS appare logicamente collegato quello in base al quale solo la giunta del CONI sarebbe legittimata a verificare il recepimento dei predetti principi negli statuti delle singole federazioni. E qui lo stato “confusionale federale” è evidente perché si sovrappone la funzione di un organo di controllo (il CONI, che non ha bisogno di ricorrere al giudice se una federazione “sgarra”, potendo limitarsi a non dare il suo placet a una modifica statutaria ritenuta incompatibile), con gli strumenti a disposizione delle singole società affiliate, le quali hanno necessità di giurisdizionalizzare il conflitto. Ancora una volta, dunque, la FIS ritiene che contro le deliberazioni dell’assemblea (e dunque di una maggioranza comunque costituita) non vi siano strumenti impugnatori. Ebbene gli erdogan di viale Tiziano hanno avuto dal giudice (di viale Tiziano) la risposta che meritavano: i ricorrenti sono titolari di “una situazione giuridicamente protetta nell’ambito dell’ordinamento federale”. In tale veste essi hanno pertanto dedotto la contrarietà del nuovo statuto ai ricordati principi fondamentali ed a norme di legge. Ma anche - è il caso di aggiungere - ad una sentenza - allo stato esecutiva - della autorità giudiziaria amministrativa (TAR Lazio). E che detti principi debbano ritenersi vincolanti per le singole federazioni è del tutto ovvio. Ma non per la FIS, che, guarda caso, sosteneva il contrario, sicché il tribunale si è visto costretto a ribadirlo, richiamando, a quanto si legge, il comma primo dell’art. 22 dello statuto CONI.
Con le prime due censure i ricorrenti avevano chiesto la declaratoria di invalidità della assemblea straordinaria, deducendo violazione delle norme che ne regolano la costituzione, nonché la irregolarità delle operazioni di voto e, inoltre, gravi carenze nella verbalizzazione. A tali censure il giudice sportivo dà risposta negativa, o meglio non dà risposta, ritenendosi funzionalmente incompetente, in quanto per invalidare l’assemblea – sostiene – i ricorrenti avrebbero dovuto adire, non il tribunale, ma, ai sensi dell’art. 18 comma nono del vigente statuto, la corte di appello federale. La conclusione che tuttavia ne trae il tribunale non ci sembra corretta, dal momento che esso afferma che, in conseguenza dell’erronea individuazione del giudicante, si deve ritenere che l’assemblea si sia svolta regolarmente. La decisione del giudice sportivo, invero, avrebbe dovuto essere unicamente di natura processuale: trascorso inutilmente il breve termine per la impugnazione, è maturata la decadenza in capo agli interessati. Non altro.
Con riferimento, poi, ai singoli articoli (in numero di 15) sui quali i ricorrenti chiedevano che il tribunale si pronunciasse, il giudice federale ha operato un distinguo. Liquidate (per vero, senza soddisfacente motivazione) come infondate le censure relative agli artt. 4, 16, 17, 18, 22, 50, 52 (parzialmente), 61, 67, 73, ha accolto quelle relative agli artt. 1 comma decimo, 17 comma quarto, 46, 52, 55, 60 comma sesto, 70. Censure, per la verità molto ben formulate da chi ha curato i ricorsi.
Ebbene: l’art 1
comma decimo va letto unitamente all’art. 52 (nella parte in cui la censura non
viene ritenuta infondata, ovviamente). Così, correttamente, opera il
giudicante. Il combinato disposto riguarda la fantomatica scuola magistrale,
che, nei desiderata dell’attuale staff federale, dovrebbe curare, non
solo la formazione degli aspiranti maestri e istruttori di scherma, ma anche il
conferimento del relativo titolo professionale. La “sentenza” opportunamente
ricorda che una cosa è la formazione, altra è la abilitazione e che tale ultima
funzione spetta – per legge – all’Accademia Nazionale di Scherma (non alla
FIS), come per altro ribadito dalla sentenza TAR Lazio del 18.2.2019, n.
2191/19 (così testualmente il tribunale federale).
E’ stucchevole
ripeterlo ogni volta, ma, sembra, in federazione non lo imparano mai!
En passant i
giudicanti chiariscono che le espressioni “tecnico di terzo livello” e “tecnico
di secondo livello” equivalgono, in tutto e per tutto, a quelle di maestro di
scherma e istruttore nazionale di scherma. Ma la FIS continua, a quanto pare,
nel suo ….… depistaggio semantico.
Pertanto, sia il
giudice amministrativo, sia quello sportivo, hanno chiarito che la federazione
non può diplomare coloro che intendano insegnare scherma. E dunque quella parte
del nuovo statuto che avrebbe dovuto cancellare l’Accademia Nazionale di
Scherma, dopo 158 anni di vita (e 139 dal regio decreto che la abilita al
rilascio del titolo) è tamquam non esset. E, sempre in tema di insegnamento e di
libertà di insegnamento, è stata bocciato l’art. 55 che vieterebbe
l’insegnamento a chi si sia diplomato in ambito U.E., nonché l’iscrizione alla
lista tecnica di chi non abbia sostenuto gli “pseudoesami” FIS. D’altra parte, non è neanche prevista (e il
tribunale non manca di evidenziarlo) una norma transitoria per coloro che, in
passato, abbiano regolarmente sostenuto e superato gli esami presso l’Accademia
(“senza indicare alcuna previsione per
l’equiparazione dei titoli già conseguiti” scrive il giudice sportivo).
Sarebbe da chiedersi quale mente abbia concepito un “sistema” (si fa per dire)
normativo così sgangherato.
E ancora meritano
attenzione le considerazioni del tribunale circa il comma sesto del nuovo art.
60 e l’intero (nuovo) art. 70. Nella “sentenza” si censura, infatti, la FIS per
aver tentato di limitare la previsione della situazione di conflitto di
interessi al solo versante economico, quasi che non possano sussistere altri
contrapposti interessi; magari in capo a chi, da un lato, riveste il
prestigioso (e ben retribuito) incarico di commissario tecnico, dall’altro, è
titolare e dominus di fatto di una
società e gestisce una o più sale di scherma.
Particolarmente
forte è poi il rimprovero per l’attribuzione ad un istituendo collegio arbitrale
delle controversie relative allo statuto; in tal modo, osservano i giudicanti,
si esautora il “giudice naturale”, vale a dire gli esistenti organi di
giustizia sportiva, cui viene sottratto “un
ambito di cognizione fondamentale per l’equilibrio tra i poteri dell’organismo
federale”. In ciò il tribunale vede
un attentato al principio della separazione dei poteri, definito come “momento di indefettibile caratterizzazione”
dell’assetto ordinamentale vigente e, in relazione a tale insidioso tentativo,
sembra quasi manifestare stupore. Ma chi ha seguito l’involuzione autoritaria e
la pepetuatio imperii che hanno
caratterizzato gli ultimi quadrienni FIS non può certo meravigliarsene.
Maurizio FUMO