Mi sia concesso di fare una
riflessione sulla cerimonia di apertura delle Olimpiadi 2024 a Parigi, dopo
averci dormito un po’ su e aver raccolto qualche testimonianza, che mi ha lasciato
molto indeciso se scrivere un pezzo pro o contro.
Da qualche tempo la Francia
mostra segni di vero decadimento culturale. Non è né la Francia di Chirac,
tantomeno quella di Mitterand, cioè una, indivisibile e grande. Si tratta di
una scialbissima e mediocre imitazione che vale quanto il carisma del suo attuale
presidente che molti chiamano Micron per sbeffeggiarlo, senza peraltro che lui
si scomponga di un millimetro.
Quando ho cominciato a seguire il
grande programma di rinnovamento architettonico che aveva investito Parigi per
l’olimpade, ho gioito dentro di me, in quanto lo sforzo si è concentrato nello
sfruttare appieno edifici già esistenti, ristrutturandoli a dovere per poter
ottenere (si fa per dire) con il minimo sforzo, il massimo del risultato.
Quando l’occhio è poi caduto sul Grand palais, rinnovato e messo a festa, ho
pensato che la Francia e Parigi, avesse fatto davvero centro. Per non parlare
dell’aver sfruttato Versailles per le gare di Dressage e del Completo. E che
dire delle gare di ciclismo che si svolgono con la scenografia de Les
Invalides, con la cupola d’oro? Mi batteva forte il cuore per tanta bellezza,
chi non avrebbe voluto andare lì solo per guardare questi quadri in tanta
meravigliosa cornice?
La cerimonia di apertura poi si
presentava come la più provocatoria di sempre, in un teatro che non aveva
eguali, la Senna, che però era senza palcoscenico… La cosa mi ha fatto
cortocircuitare la mente pensando a cosa avrebbero mai prodotto i francesi in
un luogo del genere. Avrebbero fatto arrivare Macron a bordo di una Due
cavalli? Un esercito di ballerini e ballerine del Moulin Rouge avrebbero
sfoggiato le sottane merlettate con il tricolore francese? Avrebbero proiettato
su muri di acqua nebulizzata immagini di Manet, Seraut, facendo poi rivivere
certi quadri celebri su grandi chiatte progettate appositamente sulle quali
danzatori de l’Opera Garnier avrebbero espresso le loro migliori figurazioni? E
che dire della celebre baguette e del croissant e dello champagne, e del
camembert e del bordeaux? Avrebbero emulato la grande epopea del padre delle
olimpiadi il Pierre mondiale, il barone de Cubertin, che con i suoi
modestissimi baffetti sovvertì profeticamente le nazioni del mondo unendole in
uno spirito di unità mai visto prima? Cioè quello sportivo? E che dire dei
celebri chansonnier francesi, del passato e del presente, lo stile che tanto li
ha distinti nella storia, tanto da spingere i Beatles nel mettere l’inizio
della Marseillaise all’inizio della celebre “All you need is love”? E gli
attori, i registi, i poeti, gli scrittori, i filosofi, cioè un universo che
bastava solo scalfire per poter incendiare il mondo con una sola
scintilla? Ebbene nulla.
La cerimonia è stata una regata
mediocre di barche, barchine e barchette, piene di festanti e improvvisati
pseudo migranti ben vestiti, alcuni felici, altri meno, che venivano riversati
al Trocadero, dove li attendeva l’orchestra e l’intruppato Comitato d’onore,
contingentato su scomode sediacce, sulle quali si poteva vedere Monsieur le
presidente, Thomas Bach, Mattarella, il re di Spagna, e moltissime altre
persone, tutte come caramelle, con incarto trasparente in quanto pioveva peggio
che a marzo. Gli organizzatori infatti davano per scontato un bel tempo che
invece è stato impietoso dal primo all’ultimo minuto e oltre.
E lo spettacolo? Mediocre. Non un
francese sembrava presente. Una colonna sonora disco in stile USA anni
Settanta, cucita da un montaggio video che i presenti non hanno visto nemmeno
sul telefonino. Isole di danzatori sparpagliati in vari punti del Lungo Senna
con dubbie scenografie, come se fossero parvenu improvvisati, poco motivati e
anche malvestiti. Il top è poi arrivato quando su di un ponte è stata
agghindata la festa della moda, che ha sprigionato il meglio del travestitismo
senza qualità, tanto che Le Figaro ha pensato bene di sottolineare come “l’episcopat
français déplore, scene di derisione e burla del cristianesimo”, mentre
nessuno dei giornalisti ha voluto prendere posizione contro la manifestazione,
tanto che Le Monde ha celebrato la serata di ieri come “La migliore della
storia, celebrata anche dalla migliore stampa del mondo” e fra queste compaiono
La Repubblica e La Stampa, che ovviamente vi hanno letto tutte le componenti
genetiche della politica sociale e culturale che promuovono da molto tempo:
inclusione, abbattimento delle differenze gender, cultura di ogni singolo paese
da cancellare e riformulare secondo nuovi schemi, la cui Francia è la paladina
indiscutibile, perché se lo ha fatto lei, lo può ( o forse lo deve) fare
chiunque.
Ossessiva la regia che non solo
mostrava le sfilate di moda dei giovani stilisti, ma anche le loro bonarie e
oramai solite, se non trite e ritrite provocazioni. E gli acrobati? Una
kermesse instancabile di circensi da strada, funamboli che solcano l’aria
appesi a un filo e altalenanti inchiodati a dei pali che oscillavano su uno dei
tanti ponti ma senza un vero progetto narrativo. Che dire di un enigmatico
personaggio mascherato, ispirato ad Assassin’s creed (forse è prevista l’uscita
di un nuovo videogioco a tema), che attraversava i tetti di Parigi con la
fiaccola in mano e si intrufolava ora in un edificio, ora in un altro,
mostrando i suoi abitanti interni, uniche, misere, fiacche note francesi che
non hanno saputo accontentare lo spettatore né quello pagante, che infatti non
li ha visti, né quelli a casa, che hanno pensato fossero degli amouse bouche,
cioè degli antipasti, cui però non è seguito il pranzo? Se una volta introdotto
nel Louvre si vedevano i personaggi animarsi (una trovata originalissima e gustosa!)
arrivati alla sala della Gioconda lo spettatore si accorgeva che era stata
rubata, ma stavolta non da un povero imbianchino un po’ mentecatto italiano, ma
dai Minions…
A concludere il grande melange,
un cavallo meccanico montato su un catamarano a motore attraversava i 6
kilometri della Senna per scomparire vicino al Trocadero e trasformarsi in un
cavallo vero, sul quale l’ennesimo figurante vestito come uno dei Rockets,
portava la bandiera del CIO che è poi stata issata davanti alla platea di
atleti che al suono dell’eroica orchestra (chissà gli strumenti!) ha ascoltato
la miseranda confusione musicale, cui è seguita l’ennesima canzone disco.
Forse, nella mente dell’organizzatore, tutto quello avrebbe dovuto scatenare la
danza della balda gioventù presente, che però è rimasta a prendersi la pioggia
al ritmo di musica, sperando che su instagram le cose potessero andare meglio.
Numerosissimi gli atleti che hanno aperto lives temporanee per mostrare la loro
esperienza.
Insomma una continua e incessante
provocazione a cominciare dal fatto che le 163 imbarcazioni hanno sfilato dalla
prima alla terza ora, dando a tutto lo spettacolo l’idea che fosse già tutto
finito prima ancora di iniziare. Igor Cassina ha detto che è stato come sentire
i picchi glicemici di un dolce, ora saliva ora scendeva. Noia ed entusiasmo
intervallate da commenti e disorientamenti scenici senza alcuna via di scampo.
Cose belle però ce ne sono state?
Ebbene sì! Lady Gaga, nel cantare “Mon truc en plume” cavallo di battaglia di
Zizi Jeanmarie è stata brava a la folie! Pessima però scenografia, tempi
e regia. Céline Dion è stata superlativa, in quattro minuti ha fatto
dimenticare Edith Piaf al mondo intero, ma piazzata sul terrazzo della Tour
Eiffel se la sono goduta solo quelli a casa. L’abito poi in georgette bianco
era a dir poco fenomenale, e la firma di Dior e Maria Grazia Chiuri non è stata
cosa da poco. Meno interessante la celebre Formidable di Charles
Aznavour reniterpretata da Aya Nakamura, che sembrava la versione meno costosa
e anche meno brava di Beyoncé, che si esibiva con la banda della Guardia
repubblicana, evitando come la morte di fare spettacolo, tutta impalata com’era
nel suo defilé verso la telecamera. Eppure usciva dall’Institut de France, la
massima istituzione culturale del paese, che ospita le più grandi menti
dell’Esagono.
Incomprensibile il tripode dove
hanno acceso il fuoco olimpico, in quanto era una mongolfiera posta davanti al
Louvre con un piatto alla base, sul quale è stato acceso il fuoco da un duo di
celebri atleti francesi, dopo che almeno una decina di altri si sono passati la
fiamma, non prima di averla trasportata di nuovo lungo la Senna dal Trocadero,
da un poker di formidabili campioni stranieri quali Nadal, Carl Lewis, Nadia
Comanechi, e Serena Williams. Un gesto così provinciale, che stupisce sia stato
fatto dai francesi. Non avevano compatrioti di ugual valore da coinvolgere?
Il messaggio alla fine è molto
chiaro. Siamo di fronte a un mondo che non ama la differenza fra popoli, anzi,
proprio questa differenza viene vista come un disvalore, e pertanto deve essere
livellata, piallata su basi scelte da altri. E questo è stato chiaro, anzi
chiarissimo quando due giovani musicisti abbandonati su una zattera a motore,
andavano alla deriva, ma in modo ben pilotato a distanza, cantavano in modo
malinconico una versione poco originale e frusta dell’inno oramai assodato di
una élite che spinge da dietro e vuol prendere il controllo della cultura,
ovvero Imagine di John Lennon. Come se i Bohemien e gli esistenzialisti,
e Sartre, e Bergson, e Piaget, non fossero stati a loro tempo dei fari del
pensiero e della cultura, tanto da essere scalzati da una canzonetta
orecchiabile.
Molti gli insoddisfatti, ma
nessuno ha avuto il vero coraggio di cantare fuori dal coro, dicendo:
“bocciati!”
una serata provocatoria che
voleva tracciare una linea comportamentale che nulla ha a che fare con lo sport
e l’olimpiade, che invece la distinzione fra uomo e donna la mette e molto
bene, che impedisce in tutti i modi il travaso ideologico fra i sessi e separa
con argomentazioni biologiche e chiare che uomo e donna sono molto diversi
l’uno dall’altro. Per fortuna.
Fabrizio Orsini