Maurizio ZOMPARELLI |
di Fabrizio ORSINI
Ieri 23
luglio a Tiblisi in Georgia, la prima medaglia maschile nel campionato mondiale
di scherma è stata quella del fioretto e non è stata messa al collo di un
italiano, ma di un hongkonghese, che però di italiano ha molto, anzi
moltissimo, perché a bordo pedana abbiamo visto Maurizio Zomparelli che abbiamo
chiamato e intervistato per i lettori di PIAZZADELLASCHERMA.
Complimenti per il successo di
ieri!
Grazie è stato bellissimo. Quando abbiamo visto il tabellone delle dirette, ci siamo detti che la gara era in salita, ma non ci siamo abbattuti. D’altra parte è un campionato mondiale, e pertanto sono tutti forti.
Sapevate che prima o poi un
italiano o un francese lo avreste incrociato.
Esatto. Fa
parte del gioco e ci eravamo preparati ad affrontare i migliori del mondo.
Un lavoro lungo quindi.
Dalla gara
di Vancouver Rayan (Choi) era ventisettesimo del ranking. Subito dopo ha vinto
il GP di Shanghai scalando al diciassettesimo posto e solo dopo aver vinto il
Campionato asiatico è salito al decimo. Ma dopo la vittoria di ieri è schizzato
al primo posto così da vincere anche la Coppa del mondo.
Una escalation formidabile.
Eh già.
Parlaci allora di come è
iniziata la tua avventura nella scherma, dagli esordi e di come sei arrivato a
Hong Kong.
Io sono
bresciano, seppure la famiglia non lo sia. Sono stato formato schermisticamente
dal maestro Nicoli, alla Forza e Costanza, passando per alcuni dei migliori
schermitori e insegnanti del fioretto lombardo. Poi sono entrato nel circuito
della nazionale stando nelle Fiamme Oro, e a quel punto ho cominciato a
insegnare al CS Roma. Per qualche anno le cose sono andate bene, ma poi ho
voluto provare a sperimentarmi in altre discipline sportive.
Come allenatore, giusto?
Come
preparatore fisico. Ho lavorato con il rugby, con il volley e il basket, ma
anche nell’automobilismo in particolare con la Ferrari nel settore endurance
tipo Le Mans, pur mantenendo vivo il rapporto con alcuni grandi amici della
scherma, fra i quali Stefano Cerioni. Ed è stato lui che nel 2004 diventò CT
del fioretto italiano che pensò di chiamarmi come preparatore fisico della
nazionale. Sono rimasto con lui fino all’olimpiade di Londra nel 2012 quando è
andato in Russia ed è stato naturale per me seguirlo nella nuova avventura.
A quel punto le tue mansioni
sono cambiate o sono rimaste le stesse?
In Russia ho
cominciato a occuparmi non solo della preparazione fisica, ma anche dei
cosiddetti infortunati, che andavano riportati a un livello ottimale e a fare
anche le prime lezioni con atleti di qualità.
E quanto sei rimasto?
Sono rimasto
fino all’olimpiade di Rio nel 2016 cioè fin quando Stefano, mi ha portato negli
Stati Uniti, perché era stato ingaggiato per allenare Race Imboden e di
riflesso Isaora Thibus, sua fidanzata.
E poi cosa è accaduto?
Greg Koenig,
che conoscevo da tempo, aveva capito il mio ruolo accanto a Cerioni e poiché
era stato ingaggiato dalla Federazione di Hong Kong voleva un collaboratore
della mia esperienza e mi ha proposto di seguirlo, così ho accettato. È
avvenuto nel 2020, prima dell’olimpiade di Tokyo.
Quando sei arrivato lì che
realtà hai trovato?
Hong Kong è
una città piccola per gli standard cinesi.
Stiamo parlando di alcuni
milioni di abitanti, giusto?
Circa otto
milioni.
Se pensiamo che la Lombardia
ne conta dieci…
Rispetto
alla realtà italiana è grande, ma per la Cina no. Dal punto di vista
schermistico poi è ancora più piccola, anche rispetto all’Italia.
In che senso?
Nel senso
che per un campionato assoluto di fioretto i partecipanti sono circa una
settantina. Raggiungiamo il centinaio se vengono coinvolti i cadetti e i
giovani. La base di reclutamento è scarna, ma grazie ai successi olimpici e
mondiali, stiamo vedendo che la risposta della popolazione è interessante.
Come in Italia, allora.
Tutto il
mondo è paese.
Quanti club ci sono a Hong
Kong?
Questo non
te lo so dire, ma i numeri ripeto sono in generale piuttosto bassi. Ogni sala
scherma conta poche decine di schermitori, dai trenta ai cinquanta.
Ma nonostante questi numeri
siete riusciti a raggiungere grandi risultati.
Dipende
tutto dal lavoro che fai. Quanto dedichi all’atleta, quanto l’atleta si dedica,
ma soprattutto non bisogna avere fretta di vincere. L’obiettivo quindi va
pianificato e bisogna lavorarci con estrema serietà e pazienza. L’atleta deve
avere fiducia negli allenatori, così come la federazione di appartenenza.
È tutto frutto di una grande
squadra.
Esatto. Greg
è il coordinatore di tutti i maestri perché non ci sono solo io a lavorare, ma
c’è anche Giacomo Fanizza che si occupa del settore junior e cadetto,
insegnando il metodo per passare da cadetti a senior. Siamo inoltre affiancati
da altri due maestri cinesi.
Torniamo alla gara di ieri.
Che gara vi aspettavate di fare?
Rayan aveva
lavorato bene sia nel Campionato asiatico, che aveva vinto, che in Coppa del
mondo, per cui noi sapevamo di avere messo in pedana un atleta forte. Sapevamo
come già detto che tutti sono forti man mano che ci si avvicina alla finale.
Trovare gli italiani come vi
ha fatto sentire?
Prima
Guillaume Bianchi e poi Filippo Macchi non è stato per nulla facile. Specie con
Macchi, che è stato un assalto con alti e bassi. Prima in vantaggio Rayan, poi
Filippo, infine il pareggio dell’ultima stoccata.
Molto combattuto.
Sì, ma anche
di grande livello, soprattutto perché una sola stoccata, quella finale, ha
cambiato il senso della gara. Per entrambi.
E il fatto di trovare Kirill
Borodachev, ti ha sorpreso?
No, per
nulla. E anzi se posso permettermi di dire la mia sulla esclusione degli atleti
russi e bielorussi, era ora che ritornassero in gara. La politica faccia il suo
lavoro, ma lasciasse stare lo sport. Lo sport è lo sport.
Sono d’accordo e condivido in
pieno la tua posizione.
Inoltre la
presenza dei russi ha dato più valore ai campionati ed è giusto che sia così.
Passiamo adesso alla gara a
squadre. Non ti chiedo un pronostico, perché rispetto il cosiddetto silenzio
scaramantico sportivo pre gara, ma tu come la vedi?
Il problema
si porrà quando, per entrare nei Top 4, con ogni probabilità dovremo incrociare
gli USA. Una squadra non facile che è sempre stata ai vertici internazionali. A
questa va aggiunta la presenza di Italia, Giappone, Russia e Korea, dove anche
l’Egitto può in qualche modo fare la differenza.
E la squadra di Hong Kong?
La squadra
conta, oltre che Rayan Choi, anche Cheung, già campione olimpico, e due giovani
sui quali puntiamo molto, Chin You Leoung e Laurens Ng.
Di certo sarà una competizione
di alto livello.
Imperdibile.
Veniamo adesso al futuro.
Quanto resterai a Hong Kong?
Per ora non solo sto benissimo
qui, ma anche la Federazione mi ha confermato fino al 2028 e visti i risultati,
siamo davvero tutti molto felici e desiderosi di continuare. E poi per cambiare
è necessario trovare le condizioni adatte nel posto dove si va. Se c’è una base
solida per la formazione di maestri e atleti e del loro reclutamento sul
territorio, allora il lavoro sulla nazionale ha un senso, ma se non c’è è
difficile che io arrivi nella medesima veste che ricopro qui.
Magari un
domani, quando sarà un vecchio maestro, che i successi li ha raggiunti, e il
ritmo della nazionale maggiore non mi sarà più sostenibile, potrò andare in un
luogo per fare quel lavoro di formazione di base che è necessario per poi
ottenere dei risultati di livello. Ma per ora credo di poter dare molto in
questo ruolo in cui sono. Per esempio ho amici che lavorano in Arabia, ma lì
manca lo strato necessario per costruire il grande castello agonistico
maggiore. È necessario quindi lavorare sulle fondamenta di questo sport,
altrimenti è solo una grande fatica.
E ti piacerebbe tornare a
lavorare in Italia?
(ride) Per ora l’Italia è il
luogo delle mie vacanze e di lavoro non se ne parla. Il mio legame con la FIS
era Stefano Cerioni, ma tolto lui, non penso ci sia posto per me. Resto suo
debitore per ciò che mi ha trasmesso, assieme a Giulio e Tito Tomassini, oltre
Nicoli, che per me sono i miei punti di riferimento per la mia formazione
magistrale. Ma ripeto che qui a Hong Kong sto benissimo e sono felice, sia per
i rapporti che ho instaurato, che per i risultati che stiamo ottenendo, quindi
non ho nessuna intenzione di andare in nessun luogo se non quello dove sto
lavorando ora.
Grazie per le tue parole e in
bocca al lupo per la prossima gara.
Grazie a te per questa intervista e crepi il lupo!