18 luglio 2025

ABBANDONO PRECOCE NEL MONDO SCHERMA

Ogni anno, tra comunicati e convegni, si solleva la questione dell’abbandono precoce nella scherma italiana. Ci si interroga sui numeri dei tesserati in calo, sulle difficoltà a fidelizzare i giovani, sulla perdita di potenziali talenti. Ma troppo spesso il dibattito si arena in un generico “bisogna fare qualcosa”, senza mai entrare davvero nel merito delle cause strutturali.

Eppure, due motivi principali sono sotto gli occhi di tutti. Sono noti agli insegnanti più esperti, sono evidenti a chi vive ogni giorno le dinamiche di sala. Ma restano sistematicamente ignorati a livello centrale.

1.   LA MONOCULTURA SCHERMISTICA: il limite di proporre una sola arma

La prima grande falla è di tipo tecnico-strutturale: in moltissime società si propone ai giovani schermidori una sola arma. Punto. Che ti piaccia o no. Che tu sia portato o meno.

E se non ti ci trovi? Se non ti diverte? Se non riesci ad esprimerti in quell’ambiente tecnico?

A 9, 10, 11 anni, la scelta dell’arma non dovrebbe essere una condanna ma un'opportunità. I bambini non hanno ancora una formazione tecnico-tattica stabile, ma portano con sé caratteristiche fisiche, ritmi interni, attitudini che possono trovare spazio in una diversa specialità. Un fiorettista frustrato può diventare un ottimo sciabolatore. Uno sciabolatore troppo irruente può trovare controllo nel fioretto. 

Quando questo percorso di esplorazione non viene offerto, quando l’unica opzione è “quest’arma o niente”, accade la cosa più semplice e più grave: il bambino se ne va. Non si diverte, non si sente adatto, non capisce. E smette.

Le società devono strutturarsi, nei limiti del possibile, per garantire almeno due armi. È una scelta strategica, non solo educativa. Significa offrire una seconda chance, un piano B tecnico, una possibilità di permanenza. Significa ridurre in modo significativo l’abbandono.

2.   L’ETÀ DELL’OBLIO: il paradosso degli over 20

La seconda criticità emerge più avanti, quando il ragazzo o la ragazza ha già investito anni nella scherma, ha partecipato a gare, magari ha preso una medaglia in un Europeo U20 o in un Mondiale giovani. Eppure, al raggiungimento dei 21 o 22 anni, accade una frattura silenziosa e devastante: viene considerato “vecchio”.

Non è più under. Non è ancora “pronto” per la nazionale assoluta. Non è in quel giro ristretto di atleti in orbita FIS. E quindi? Semplice: sparisce dal radar. Nessuno più lo segue.

E questa, lo abbiamo già discusso più volte, è una delle assurdità più grandi del nostro sistema. Stiamo parlando di ragazzi che hanno fatto tutto il percorso, che hanno preso medaglie internazionali, che hanno talento, voglia, sacrificio alle spalle. Eppure vengono lasciati andare. Etichettati. Bruciati.

In Italia, ancora oggi, si investe troppo poco su quella fascia cruciale che va dai 20 ai 23 anni. Una fascia che all’estero, nelle grandi scuole di scherma (Russia, Francia, Corea), è considerata l’età della maturazione tecnico-tattica definitiva.

Noi invece tagliamo. Archiviamo. Dimentichiamo. Ma questi ragazzi non sono “falliti”. Sono un patrimonio tecnico ed emotivo che andrebbe coltivato, sostenuto, reinserito anche in ottica futura. Sono una preziosa riserva tecnica per la nazionale maggiore.

Se li perdiamo, perdiamo futuro. Perdiamo esperienza. Perdiamo la possibilità di formare anche futuri maestri completi, che abbiano vissuto un vero percorso schermistico. Il problema è strutturale. Da sempre, le gare internazionali Under 23 sono state trascurate, quando invece dovrebbero rappresentare un passaggio fondamentale. Un ponte. Perché è lì che si forma davvero l’atleta che ha ancora margini di crescita e bisogno di esperienze di alto livello, ma che non è ancora pronto per confrontarsi stabilmente con il mondo assoluto. Per costruire una base solida, bisogna avere visione. 

Serve un investimento concreto sulle gare Under 23, sia a livello italiano che internazionale. Serve valorizzarle e usarle come campo di sviluppo, come palestra formativa. Serve far capire ai ragazzi che a 21 o 22 anni non sono “fuori tempo massimo”, ma nel pieno del loro percorso. E parallelamente, bisognerebbe rivedere anche la struttura degli allenamenti collegiali: se si lavora con gli "azzurrini", che siano Under 23, non più Under 20.

3.   CONCLUSIONE: il coraggio di cambiare modello

L’abbandono precoce non è colpa dei ragazzi. È la diretta conseguenza di un sistema che offre poche scelte, che spegne la motivazione, che mette da parte troppo presto.

Serve una svolta culturale. Serve un modello che preveda la doppia arma come standard obbligatorio per ogni società. Serve una Federazione che non resti a guardare, ma vincoli l’apertura delle nuove sale a criteri tecnici seri, che includano anche la possibilità concreta di impiegare giovani maestri in cerca di spazi.

E serve infine una progettualità a lungo termine che abbracci anche i post-under20, non come “residui”, ma come risorse vive e pronte per la scherma italiana.

Solo così potremo tornare a crescere davvero. Non in numeri di tesserati, ma in profondità, qualità e futuro.

Michele BONSANTO 

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