immagine da google |
Il titolo del post: “Una federazione per tutti, in cui non prevalgano gli interessi privati di grandi società e organizzatori di camp privati!”, è molto eloquente e getta una luce fosca, se non lugubre su quello che sta accadendo nella scherma italiana, e che è sotto gli occhi di tutti o quasi, ma di cui nessun parla.
Per poter affrontare l’argomento, è necessario avere
sott’occhio alcuni numeri che da anni questo blog enuncia senza essere
ascoltato, ma che forse è giunto il tempo di ribadire perché i tempi sono
maturi.
Se prendiamo la Federazione francese di scherma la FFE,
notiamo che a quasi parità di abitanti fra noi e i cugini transalpini, la
scherma praticata da loro è di circa 350.000 atleti, contro quelli degli
italiani che sono la modestissima cifra di 20.000. Questo dato è interessante
perché se in un quadriennio riuscissimo a raddoppiare il numero, il trend verso
la radiosa cifra di 100.000 schermitori, potrebbe arrivare solo quando lo
scrivente sarà deceduto da un bel pezzo. Non c’è da stare allegri.
Questa piccola federazione italiana però macina medaglie
alla grande, e la nuova generazione di schermitori, quelli usciti dal ventennio
di Scarso, si sta attrezzando per fornire scherma a un alto livello
prestazionale, e a costi molto interessanti, cioè alti e ben remunerativi, cosa
che ci fa dire che finalmente la scherma italiana è diventata una professione.
Quanti sono che operano a questo livello? Dal mio
osservatorio non più di quattro o cinque società, che stanno facendo
dell’ottimo marketing, anche internazionale con discreti e più che legittimi
guadagni. A loro va il mio plauso e la mia stima!
Tuttavia resta un popolo di braccianti delle armi, che
divulgano il verbo della scherma, e forgiano con infinita pazienza ogni sorta
di atleti del settore e che non raggiungeranno mai i profitti di queste ottime
società sportive che hanno saputo approfittare del fatto che in Italia mancano
concretamente all’appello la bellezza di 80.000 schermitori, forse anche di
più.
Il sistema che attualmente è in atto è molto semplice:
l’atleta nasce più o meno sempre nella piccola palestra, grazie a un maestro
che ha sputato sangue per anni, a un costo annuale molto basso, poi quando
l’atleta sale di prestazione o desidera di più, (più avversari, avversari più
forti, maggiori ore di allenamento, palestra fissa ecc…) a un certo punto
cambia società, per volere o nolere, certo che nella nuova società farà
risultato secondo i suoi sogni, e siccome questa società in genere ospita altri
grandi nomi della scherma italiana, di certo il risultato se non è garantito,
potrebbe andarci molto vicino.
La piccola società nel frattempo si spoglia dell’atleta e
ricomincia il duro lavoro nel campo. Per tre anni incassa i punti dello
schermitore trasferito, e poi tanti cari saluti.
Per inciso, l’atleta è liberissimo di fare tutto questo, ma
rimane il problema della società che vive dei pochi schermitori che riesce a
raccogliere, e della fatica che si somma a quella di formarli.
Il problema quindi è duplice, il primo la modesta quantità
di schermitori in generale, e di contro il potere di alcuni club che raccolgono
atleti. Sinceramente questa raccolta, non la saprei definire con una
parola precisa, anche se trust potrebbe andargli molto vicino. La
differenza fra trust e una parola nuova potrebbe essere che mentre il trust
tende al monopolio, il sistema in atto mantiene alla fame le piccole società
che comunque devono continuare a lavorare senza sosta per sopravvivere, mentre
le grandi si alimentano del lavoro delle piccole.
Cosa dice quindi Azzi nel suo post? “Una federazione che
ascolta solo le realtà più grandi e i gestori dei camp privati [che operano
ndr] a scopo di lucro, rischia di perdere di vista le esigenze delle tante
[e necessarie aggiungo io] piccole realtà, che sono il cuore pulsante del
nostro movimento.”
Ecco perché Paolo Azzi si è sbilanciato così tanto e perché le piccole società, ma anche i maestri e gli atleti dovrebbero votarlo, perché il sistema in atto è frutto di un lungo ventennio che ha lavorato e bene nel tenere numeri bassi di società e di atleti.
Fabrizio Orsini
Nessun commento:
Posta un commento