Riprendo
da www.atleticalive.it l’interessante
articolo sui Gruppi Sportivi Militari a firma della giornalista del Corriere
della sera Gaia PICCARDI.
Purtroppo
toccare questo argomento è assai difficile per le diverse sfaccettature che
esso propone. Da una parte la struttura militare garantisce il mantenimento
degli atleti di vertice, dall’altra il potere che essa ha acquisito si
manifesta in tutte le più importanti decisioni federali e del CONI. Vorrei
anche precisare che per quanto riguarda il CSOE (Centro sportivo olimpico
dell’Esercito) è tutt’ora in vigore la norma secondo la quale la permanenza al
Centro di una atleta è determinata dai risultati, che se mancanti negli ultimi
due anni, vengono trasferiti ed assegnati ad altro incarico oppure lasciano il
servizio.
Su
questo Blog l’argomento è stato già trattato, forse non in maniera così profonda
ma comunque significativa.
Da ex
militare ed esperto della tematica auspico una riforma del settore, affinché si
trovi il giusto equilibrio tra sodalizi civili e con le stellette,
nell’interesse primario di tutto lo sport italiano e tenendo comunque presente
che i militari rappresentano una grande risorsa per l’intero mondo sportivo.
Troverei anche giusto rivedere la legge Melandri e le successive modificazioni,
ma si avrà interesse e voglia per procedere in tal senso?
“Il Corriere critica duramente i Gruppi
Sportivi: “anomalia forse non più sostenibile”
Il Corriere
della Sera, in un articolo di Gaia
Piccardi, ha deciso di affrontare la questione “Gruppi
Sportivi Militari” e lo ha fatto con un taglio decisamente critico.
Il titolo è già di per sé duro: “1.247 atleti militari – Ma le medaglie non
crescono più”. Il sottotitolo introduce già un giudizio: “I corpi di disputano
i fuoriclasse e sono diventati centri di potere – Un’anomalia forse non più sostenibile”.
Già, forse non
più sostenibile? E con queste premesse la Piccardi si lancia nella disanima di
questo mondo, croce e delizia del mondo sportivo italiano, introducendo
l’articolo con un eloquente “senza il loro sostegno molti sportivi non
potrebbero gareggiare al vertice”. Già, ma allora cosa non va?
“L’attacco parte con l’atletica: C’è un numero,
sul fondo del burrone del peggior Mondiale di atletica della nostra storia, che
fotografa un ex virtuosismo diventato caso. Pechino 2015, 33 azzurri al via, 26
appartenent i ai gruppi sportivi militari (9 uomini — il marciatore Tontodonati
sarebbe entrato in Aeronautica i l primo ottobre —, 17 donne): zero medaglie”.
La giornalista
del Corriere riprende le parole del Presidente Giomi “Problema di mentalità, vanno rivisti i
meccanismi di entrata e uscita dai corpi: chi in due anni non fa risultati,
trovi un lavoro”. Si sta solo a vedere come Giomi, che aveva fatto
una campagna elettorale assai critica nei confronti dei gg.ss, cambierà la
situazione con un consiglio federale (il suo governo) per metà e forse oltre
composto proprio da esponenti di Gruppi Sportivi Militari. In pratica chi
rappresenta meno dell’1% dei tesserati italiani controlla più del 50%
dell’organo di Governo dell’Atletica. Chissà se Giomi ne fosse stato a
conoscenza quando fu eletto.
Il corriere
parla quindi di un fenomeno tutto italiano, che sarebbe sfuggito però di mano
con la legge 78 del 2000, che autorizzò l’assunzione diretta di atleti di
interesse nazionale, scatenando così il mercato degli atleti militari. La
Piccardi a questo punto fa questa riflessione:
“in tempi di
spending review e feudi non più intoccabili, se siano ancora una risorsa o
piuttosto non siano diventati un’insostenibile anomalia sociale”. E tutto questo
perché al loro incremento non è corrisposta una crescita di medaglie. Effetto
riscontrato anche ai recenti Mondiali Militari, con l’Italia scesa al 9° posto
(dal 3° della precedente edizione).
Tutti atleti
sulle spalle del contribuente, si legge sul Corriere. Con derive come vere e
proprie campagne acquisti, come quella della Polizia Penitenziaria prima di
Londra 2012 che spinsero a chiedere dei nulla osta per evitare questa pratica
così poco eticamente “istituzionale”. E così ce li descrive ancora la Piccardi:
Hanno in media
da i 17 ai 35 anni, guadagnano dai 950 ai 1400 euro al mese (vitto e alloggio
spesso inclusi), si allenano nei centri di appartenenza (la Polizia ne ha 9, il
rugby come fiore all’occhiello, l’Esercito 6, molti concentrati a Roma), sono
il biglietto da visita dei co pi, che si litiga no i fuoriclasse come le comari
i pettegolezzi. Sembra un retaggio dell’ex Urss, è un business fenomenale”.
La posizione del
Presidente del Coni, Malagò si allinea con sentimento di amore-odio nei
confronti di queste realtà: sono indispensabili per lo sport italiano d’elitè,
ma indubbiamente si è esagerato, soprattutto in un periodo “di grande attenzione verso la cosa pubblica e
ogni comportamento e ogni iniziativa va ricondotta verso un obiettivo comune:
occorre maggiore coordinamento che non disperda quanto di buono esiste ma nello
stesso tempo elimini il superfluo”.
E il CONI
verserà a queste società 2,2 milioni di euro (oltre a quelli già destinati alle
Federazioni), mentre alle gruppi civili meno della metà. E qui viene un’altra
riflessione della Piccardi:
È vero che,
calciatori professionisti a parte senza gruppi militari pochi in Italia
potrebbero permettersi di fare gli sportivi di
vertice (…), però la deriva del sistema non può sfuggire.
E qui viene
introdotta dalla Piccardi una riflessione davvero importante.
“i corpi militari sono diventati centri di
potere all’interno delle federazioni: decido no convocazioni, spostano voti e
equilibri, condizionano i direttori tecnici. Un costume poco etico è il
depredamento delle società nel momento in cui i talenti migliori si affacciano
alla ribalta”
Amara la
riflessione finale della Giornalista del Corriere:
“Per snellire il
carrozzone bisogna in vestire di più sulla scuola ma alla base serve una
volontà politica, sennò si rischia di finire a intervistare in tv i cani
della Forestale come ai Giochi di Torino. “”
Ezio RINALDI
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