14 maggio 2025

LA RESPONSABILITÀ DEL COMMISSARIO TECNICO E LA NECESSITÀ DI UNA RIFORMA STRUTTURALE NELLA SCIABOLA ITALIANA.

Qualche giorno fà mi è pervenuta da un certo sig. Michele la e-mail  che segue. L’autore, pur palesandosi come “Michele” al sottoscritto risulta anonimo, quindi non pubblicabile. Trattandosi di argomento particolarmente interessante lo faccio mio e lo pubblico a mia firma, pregando lo sconosciuto autore di palesarsi affinchè il suo contributo non sia attribuito ad un pavido signore che ha paura delle proprie idee.
“Gentile Ezio, desidero condividere con te questo mio pensiero, al quale attribuisco particolare importanza, pur non sapendo individuare con esattezza la sua collocazione più adeguata all'interno della pagina Confido nella tua sensibilità e competenza per valutarne l’inserimento nel punto che riterrai più opportuno. Ti ringrazio sin d’ora per l’attenzione. LA RESPONSABILITÀ DEL COMMISSARIO TECNICO E LA NECESSITÀ DI UNA RIFORMA STRUTTURALE NELLA SCIABOLA ITALIANA.
Essere commissario tecnico di una disciplina sportiva non significa solo occuparsi della selezione degli atleti o della gestione tecnica: è, prima di tutto, un incarico strategico che richiede visione, coerenza e la capacità di costruire un percorso solido e duraturo. Purtroppo, in Italia, questo ruolo viene spesso interpretato in modo riduttivo, come se bastasse cambiare il volto alla guida per risolvere problematiche che, invece, affondano le radici in un sistema che necessita di un ripensamento profondo.
Negli ultimi anni, la sciabola italiana ha visto alternarsi diversi commissari tecnici, senza che questo avvicendamento portasse a un reale rinnovamento nelle dinamiche operative o nella progettualità a lungo termine.
Si è preferito agire in superficie, evitando di affrontare le criticità strutturali che ostacolano lo sviluppo del settore.
Una delle questioni più delicate riguarda la gestione del ricambio generazionale.
La scelta di convocare atleti molto giovani, con l’intento di dar loro fiducia e opportunità, è un’idea condivisibile solo a patto che si accompagni a un percorso di crescita adeguato.
Nella realtà, spesso significa esporli prematuramente a contesti altamente competitivi, senza una preparazione tecnica e mentale sufficiente.
Un passaggio diretto dalle categorie giovanili all’élite internazionale è, nella maggior parte dei casi, inopportuno.
Come in ogni processo educativo, anche nello sport serve gradualità: non si può passare dalle scuole medie all’università senza una solida formazione intermedia.
Questo vale a maggior ragione nella sciabola, disciplina che, per sua natura, richiede tempo, esperienza e maturità.
Ciò che manca, oggi, è un vero centro tecnico nazionale: un polo di eccellenza dove i migliori atleti possano allenarsi fianco a fianco, quotidianamente, seguiti da un’équipe tecnica di alto profilo, in un ambiente organizzato, coerente e orientato allo sviluppo del talento. L’attuale frammentazione di risorse, competenze e intenti non consente di costruire un’identità forte e condivisa.
Ogni realtà procede isolata, spesso con obiettivi divergenti, con il rischio concreto di perdere atleti promettenti per mancanza di continuità o supporto.
La sciabola italiana sta attraversando una fase complessa. I risultati recenti e l’analisi attenta delle dinamiche interne lo confermano.
È tempo di riconoscere, con onestà e coraggio, che non ci troviamo di fronte a una crisi passeggera o legata a singole figure.
Si tratta, piuttosto, di una crisi sistemica che necessita di essere affrontata con serietà, competenza e visione.
Serve una riforma autentica, profonda, che guardi con lucidità al futuro, che metta al centro il merito, la formazione continua, la collaborazione tra le realtà territoriali e un investimento strutturato sui giovani.
Un percorso che non può prescindere dal coinvolgimento degli atleti più esperti, la cui presenza rappresenta un punto di riferimento fondamentale per la crescita tecnica e umana delle nuove generazioni.
Solo attraverso un progetto ambizioso ma concreto sarà possibile restituire alla sciabola italiana il prestigio e la competitività che le sono propri.
Non si tratta soltanto di tornare a vincere. Si tratta, soprattutto, di ricostruire fiducia, identità e prospettiva per un'intera generazione di atleti e tecnici che meritano di operare in un sistema moderno, efficace e all’altezza delle loro ambizioni.”
Ezio RINALDI

6 commenti:

  1. Se ho capito bene, l'ipotesi è che atleti giovani vengano mandati a competizioni senior troppo presto, saltando tappe fondamentali del loro sviluppo (paragonabile a saltare il liceo e andare direttamente all'università), il che potrebbe essere controproducente. In Italia, come in molti altri paesi, il successo nella scherma è dovuto ai maestri formativi che seguono gli atleti fin dalle prime fasi della loro carriera, lavorando oggi in equipe con altri specialisti per lo sviluppo psicologico e fisico. Se questo centro significa concentrare il talento lontano dai maestri formativi, potrebbe peggiorare le cose. Tuttavia, se fosse un centro di collaborazione decentralizzato tra maestri ( ed i loro club) ed uno staff tecnico nazionale di supporto, potrebbe essere utile.
    Gil PEZZA

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Gil. Si parla spesso del maestro Bauer come del “miglior maestro al mondo”. Un’affermazione che, sebbene comprensibile per i risultati ottenuti, rischia di semplificare eccessivamente il discorso. Il vero punto di forza di Bauer non è un presunto genio tecnico individuale, ma la sua capacità, rara e lungimirante, di creare sistemi di lavoro.

      Bauer ha sempre creduto in un modello di crescita condivisa, dove gli atleti si allenano insieme, si confrontano quotidianamente, si spingono l’un l’altro verso l’eccellenza.
      Non è un’intuizione recente: lo ha applicato in Italia, in Cina, in Russia, ovunque abbia avuto modo di operare, spesso aprendo sale di scherma proprie o contribuendo a strutture esistenti.

      Ciò che colpisce è che in Italia questo approccio venga ancora visto come un'eccezione e non come la regola.
      Eppure, i risultati parlano chiaro: quando si crea un ambiente tecnico solido, integrato, multidisciplinare e collaborativo, gli atleti crescono. Non per miracolo, ma per metodo.

      Possibile che non si riesca a comprendere un’evidenza tanto elementare? Forse sì. E allora, a chi continua a non vedere l’essenza del lavoro di Bauer, forse servono davvero dei disegnini. Ma con il rischio, serio, che nel frattempo un’intera generazione di sciabolatori paghi il prezzo di questa miopia.

      Il problema, come spesso accade, non è la mancanza di modelli: è la resistenza a metterli in pratica.

      Elimina
    2. Michele Bonsanto. Grazie

      Elimina
  2. Ezio se gentilmente al mio ultimo commento puoi aggiungere questo:
    Anche i successi più brillanti non nascono per caso. È bene ricordare che lo stesso maestro Terenzio, quando guidava le atlete ucraine, otteneva risultati di altissimo livello proprio perché aveva creato un contesto coeso e funzionale. Quelle atlete si allenavano insieme, a Bologna, sotto la sua guida quotidiana, con un metodo chiaro, strutturato e orientato alla crescita continua.

    Sarebbe ingenuo pensare che quegli stessi successi sarebbero stati possibili se le forze fossero state disperse, gli allenamenti occasionali, o se ogni atleta avesse seguito un percorso isolato. La base di quei risultati era, ed è tuttora, il lavoro quotidiano condiviso, la costruzione di un gruppo, la presenza costante di un riferimento tecnico e umano.

    Chi conosce davvero questo sport sa che senza un sistema organizzato, nessun maestro – per quanto competente – può trasformare il talento in vittorie durature. È tempo che anche in Italia si comprenda che l’eccellenza non si improvvisa: si costruisce, giorno dopo giorno, in un ambiente stabile, integrato e orientato al futuro.
    Grazie un abbraccio. Michele Bonsanto

    RispondiElimina
  3. Gentile Ezio,

    ti scrivo perché, inviando l’articolo dalla mia e-mail, pensavo fosse chiaro chi fossi. Mai avuto timore di espormi, anzi, è proprio questa la mia forza: mettermi in gioco senza nascondersi. Se qualcuno si aspettava timidezza o prudenza, si sbaglia di grosso.

    D’altronde, il coraggio di esprimere un’opinione forte e sincera non è cosa da poco, soprattutto oggi che tutti sembrano preferire il silenzio o i compromessi. Quindi, non mi interessa tanto essere diplomatica o accomodante, quanto piuttosto far capire con chiarezza cosa penso, senza giri di parole. Un caro saluto Michele Bonsanto

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Michele, grazie per la tua precisazione. Purtroppo di Michele ce n'è più di qualcuno, quindi bene hai fatto a puntualizzare. Ti ringrazio ancora.

      Elimina