Ritengo
doveroso dare un contributo di pensiero sul fenomeno in argomento (e chi vuole
intendere intenda).
La
letteratura sul fenomeno del nonnismo è
particolarmente ricca e per esporla tutta ci vorrebbero pagine e pagine, quindi
cercherò, per quanto possibile, di enunciare il mio pensiero in forma molto
sintetica ma al tempo stesso chiaro ed efficace: spero di riuscirci.
Nell’arco
della mia carriera militare ho avuto il privilegio e la fortuna di frequentare
Seminari e corsi sul problema, trattando il “disadattamento giovanile –cause,
effetti ed azioni di supporto psicologico e prevenzione”.
Intanto
chiariamo cos’è il nonnismo: esso è un
insieme di prove dolorose e di pratiche ritualizzate, destinate a simboleggiare
l’integrazione di un individuo in un gruppo sociale particolare che può essere
studentesco, militare, professionistico, sportivo. Si parte da semplici atti di
superiorità insulti pesanti, scherzi balordi e insensati fino ad atti di gravità maggiore: furto,
disturbo costante psicofisico della
“vittima”, atti di devastazione, persecuzione, atti denigratori e razzisti
verso la vittima. Detto fenomeno, come si può capire avviene in gruppi
strutturati (nell’abito sportivo negli allenamenti collegiali) in cui un
elemento – “il nonno” – si identifica nel più anziano, il quale è in
contrapposizione al “nipote”, cioè al novizio. Il fenomeno è ufficialmente
vietato e scoraggiato, cionondimeno è stato sempre minimizzato e considerato
parte del processo formativo del giovane (ERRORE!!!)
I
nostri giovani, in età adolescenziale, hanno bisogno d modelli positivi, non
tanto per emularli ma per comprendere il senso della vita e per prendere
coscienza di cosa potrebbero divenire seguendo le proprie attitudini, con
sforzo ed abnegazione: I modelli positivi sono in genere rappresentati da
letterati, matematici, fisici,, medici, giuristi, pensatori e certamente anche
dagli esponenti più rappresentativi dello specifico sport.
Bisogna
togliersi dalla testa che “il nonnismo è
l’esuberanza giovanile”, ciò banalizzerebbe il fenomeno e lo ridurrebbe a
valutazioni semplicistiche che ne minimizzerebbero la portata. Per cogliere la
complessità del fenomeno è necessario avvicinarsi a problema con delle
conoscenze di base: tra queste la psicologia
dell’età evolutiva.
Mi accorgo di addentrarmi nei meandri di
materie che non posso trattare in poche righe, quindi vado sull’esperienza
professionale. Ad un certo punto della mia carriera, fui chiamato a Comandare
la Compagnia Comando e Servizi del mio Reparto, incarico che non mi competeva
poiché la mia carriera era di tipo amministrativo. In tale Compagnia
generalmente confluivano i soldati destinati ai servizi di caserma ed il loro
livello istruttivo culturale era appena sopra l’alfabetismo: gente abituata,
nell’ambito civile, ad una serrata lotta contro la società : rapine, violenze,
estorsioni etc.etc.. Pertanto gli atti di nonnismo erano all’ordine del giorno.
La prima azione fu quella di presentarmi alla Compagnia con una adunata
generale, successivamente cominciai a chiamare a rapporto tutti i soldati, uno
per uno, cercando di capire il loro retroterra: situazione familiare e sociale.
Fatto ciò posi in essere una costante azione di controllo unita ad una
ristrutturazione delle camerate e dei servizi igienici al fine di consentire
loro di vivere in un ambiente igienicamente sano; disciplinai la concessione di
permessi serali secondo una meritocrazia: eliminai il nepotismo ed il
clientelismo. I ragazzi avevano
percepito che esisteva un Comandante che guardava tutti con lo stesso occhio e
dopo 4 mesi di azione di comando non si verificarono più atti di nonnismo e gli
armadietti potevano essere lasciati senza lucchetto perché nessuno toccava
niente. Si badi bene non avevo fatto niente di eccezionale ma semplicemente un costante
lavoro giornaliero.
In conclusione, per conoscere, comprendere e per
poter incidere significativamente sul fenomeno del nonnismo sono necessarie
esperienze e conoscenze dirette che nessun “esperto” possiede, soprattutto se l’esperto non vive e
lavora all’interno del gruppo. A mio avviso per combattere il fenomeno
all’interno di un gruppo, non è necessario affidarsi ad esperti esterni, bensì
è fondamentale coinvolgere pienamente chi vive e lavora con i ragazzi.
Pertanto, nel caso di un allenamento collegiale, la presenza di Campioni, del
recente passato, che con la loro esperienza possono rappresentare quel modello
positivo a cui i giovani atleti dovrebbero ispirarsi, sarebbe di notevole
aiuto. Questi Campioni dovrebbero seguire gli atleti stando con loro e
trasmettendogli quei valori che, molto probabilmente, ogni singolo atleta ha ma
che in gruppo perde. Un cane randagio da solo ha paura, in gruppo si scatena
diventando molto aggressivo: recenti episodi ce lo dimostrano. A questo punto
il capo branco non può e non deve essere uno del gruppo, ma il grande Campione.
Un’altra cosa: spesso dopo un azione di nonnismo si tende a minimizzare
cercando di far presentare le scuse per l’atto commesso, ma queste non servono
se non segue il convincimento da parte dell’autore che quanto ha fatto è
sbagliato. Vale la pena, qualche volta, di fare riferimento anche a proverbi
che i nostri avi ci hanno tramandato e ce n’é uno napoletano che recita :”Mazz
e panell fann i figli bell, pane e senza mazz fann i figli pazz”. Forse ai
tempi d’oggi questo proverbio non si attaglia, ma qualche volta provare non fa
male, soprattutto quando si deve gestire un gruppo.
Non
c’è nulla a questo mondo che valga più della dignità. Affrontare la vita a
testa alta, anche passando momenti di ristrettezze, di sconforto e anche
subendo molte sconfitte, è il modo migliore per crescere, irrobustirsi ed in
sostanza vivere una lunga e fruttuosa vita.
Ezio
RINALDI