14 settembre 2022

ATTIVITA' SCHERMISTICA E CRISI ECONOMICA

Ci siamo, come ogni stagione le palestre delle società di scherma riaprono i battenti. Alcune lo hanno già fatto la scorsa settimana, la maggior parte lo farà nella prossima, qualcuno dovrà aspettare anche qualche giorno in più, a causa dei soliti ritardi delle amministrazioni civiche e delle scuole nel dare il via libera alle attività in orario extra scolastico.
Che stagione ci aspetta? Difficile fare previsioni, arriviamo da 3 anni fortemente segnati dall’emergenza pandemica, con lockdown totali, parziali, a macchia di leopardo, locali e nazionali a colori e fasce di rischio. Con la sola e unica certezza, che lo sport era sempre il primo a chiudere e l’ultimo a riaprire. Noi, tutto sommato, siamo stati anche dei privilegiati. Le società che disponevano di locali propri hanno potuto proseguire quantomeno l’attività agonistica, anche nei periodi di zona rossa. Ma giusto per gli atleti agonisti, almeno per chi ha rispettato le regole. Le limitazioni hanno comunque prodotto dei danni al sistema sportivo. I sostegni del primo governo Conte hanno aiutato le società a superare il momento di chiusura totale, e nello scorso anno sono riusciti a sopperire al fisiologico calo delle iscrizioni, ma quest’anno? Il governo Draghi ha mostrato meno sensibilità verso lo sport, dando priorità ad altri settori produttivi, dimenticando (come tutti i governi che l’hanno preceduto), che comunque è un settore che in ogni caso produce il 3% del PIL nazionale, e che forse meriterebbe maggiori investimenti.
I dati ISTAT ci dicono che il sistema sportivo del CONI ha perso, tra il 2019 ed il 2020 l’anno nero del Covid, circa 400.000 tesserati, un numero enorme. La scherma ne ha persi circa 2.000, e con i suoi 18.719 tesserati quali atleti si attesta al 34° posto tra le Federazioni sportive italiane, tornando all’incirca ai numeri del 2014. Una manciata di praticanti in più rispetto al Tiro a Volo, una in meno rispetto al Bridge. Facendo una brutale analisi della situazione, che non ha nessuna pretesa di studio sociologico o economico, vediamo che dal 2019 al 2020 le società affiliate alla FIS sono rimaste grossomodo le stesse, 337 contro 330, alcune però perse per via di accorpamenti, sempre auspicabili tra realtà piccole e simili sullo stesso territorio. I sostegni alle società, al netto delle sterili polemiche da bar, hanno evidentemente avuto una certa efficacia, assieme naturalmente alla italica capacità di adattarsi ad ogni situazione, e fare enormi sacrifici per andare avanti. Poco, o nulla, sono state invece sostenute le famiglie, e difatti le perdite su quel fronte sono da considerarsi importanti.
Non abbiamo numeri reali per il 2021, ma visto come è andato avanti, tra chiusure e allarmi continui, non possiamo pensare che ci siano stati clamorosi recuperi. Anche i numeri delle competizioni, in generale flessione, ci dicono che se siamo riusciti a tenere i numeri del 2020, siamo già stati bravi. Ora però si avvia la prima stagione del ritorno alla normalità, o quasi. I governanti non prevedono gravi ripercussioni in termini di chiusure, ma incombe un altro nemico dello sport, quello storico: le spese a carico delle famiglie. Terminata la crisi pandemica, almeno dal punto di vista economico, ecco che si affaccia una nuova crisi portata dalla guerra russo-ucraina. Lungi da me dare qualsiasi giudizio di sorta, ma è un dato oggettivo che come tutto abbia subito rincari a doppia cifra percentuale, e la stagione che ci aspetta è l’inverno, con tutte le conseguenze sui bilanci familiari portate dalle bollette del riscaldamento. La campagna elettorale anticipata non aiuta, con questo continuo terrorismo psicologico, fatto di slogan a base di “presto saremo tutti poveri”. Una famiglia, davanti a questa prospettiva, può pensare di mettersi in casa ulteriori spese dovute allo sport dei figli?
Forse il governo avrebbe dovuto porsi questa domanda, a cominciare dalla sottosegretaria allo sport Valentina Vezzali, che arrivando da uno sport tutt’altro che economico come la scherma, avrebbe dovuto avere maggiore sensibilità verso le famiglie del ceto medio e basso, le più in difficoltà in questo momento storico nel fare continuare l’attività sportiva ai propri figli. Come si poteva fare? Non faccio retorica affermando che stornando una piccola percentuale delle varie e superflue spese dello Stato dirottandole sullo sport, si sarebbe fatto in modo da ripartire tutti senza problemi (parliamo di miliardi di euro, nemmeno milioni), ma qualche spicciolo di poteva, e doveva, trovare per mettendoli a disposizione delle famiglie. In piena crisi pandemica, nell’estate del 2020, quando l’Italia timidamente ripartiva, qualcuno pensò che per aiutare lo sport e le famiglie sarebbero stati utili dei voucher, da spendere nelle palestre delle società affiliate al CONI. Già questo sarebbe un bel segnale, in un momento in cui tutti hanno il terrore di fare qualsiasi spesa che non sia indispensabile per l’immediata sopravvivenza, dire che l’avviamento allo sport lo paga lo stato, per fare ripartire anche questo comparto, sarebbe stato un bel segnale in controtendenza al clima attuale. Certo, lo stato non può pagare tutto e per sempre, ma è questo l’anno in cui le società hanno maggiormente bisogno di aumentare il numero degli iscritti che non solo tamponare le perdite economiche con ristori a pioggia. Perché la pioggia passa, mentre un iscritto fidelizzato torna anche l’anno successivo, quando invece deve pagarsi tutto. Un’altra proposta a favore delle famiglie poteva essere una revisione di quanto si può dedurre dalle tasse. Ad oggi sono appena 38 euro (il 19% della quota fino ad un massimo di 200euro, risibile), poteva essere il 19% di qualsiasi cifra, e magari poter anche scaricare l’iva sull’acquisto del materiale sportivo: nella scherma queste due cose combinate potrebbe abbattere, e di molto, la quota associativa annuale.
Invece, ancora una volta, in una situazione di crisi economica mondiale senza precedenti, se non nell’immediato dopoguerra, tutto il peso della prevenzione sanitaria dato dallo sport, ricadrà sulle fragili spalle delle società sportive, delle famiglie, e dei soliti volontari, senza i quali nulla funzionerebbe in questo paese. Da oggi si torna a pagare tutto a prezzo pieno: affiliazione, tesseramento, si torna a pagare il doppio tesseramento per il Maestro-atleta, o dirigente societario, si torna a pagare 48 euro per tesserare il consigliere che ricopre tale incarico per mero spirito di servizio e che alla federazione non costa nulla, ma  peserà sulle casse societarie. Ricordo ancora quando in un incontro elettorale prima dell’ultima tornata, in presenza del futuro presidente Azzi, del presidente Scarso, dei candidati consiglieri federali, dissi che gli aiuti alle società andavano resi strutturali, e non momentanei, perché passata l’emergenza i suoi effetti sarebbero rimasti per altri anni. Nessuno ha ritenuto di ascoltare, peccato.
Paolo CUCCU

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