Mi sono imbattuto in un libro di storia che narra dei Sumeri e mi sono stupito di leggere della decadenza di Ur, città fiorentissima più o meno 4500 anni fa. Vi risparmio i dettagli tranne uno, il principale, quello che fece precipitare la sua economia, ovvero la salita al trono della città di un re, che era inviso ai sovrani delle città limitrofi, i quali tagliarono gli scambi economici e alimentari, così da affamare la città, la quale girava attorno a una burocrazia a dir poco complicata ed estrema. Interessante eh?! una civiltà che inventa la scrittura e poi ne diventa vittima è quantomeno avvincente. Altri dettagli succosi emergono quando si capisce l’intrigo dietro, ma ve lo risparmio.
Il lettore dirà: “che c’azzecca
con la scherma!” e avrebbe ragione, se solo non mi si fosse accesa una luce,
una debole e sinistra luce, grigia per la verità, una di quelle che quando la
vedi, pensi che sia molto meglio il buio.
Nove anni di battaglia politica,
a volte aspra, altre più docili, per vedere negli ultimi tre la magica eclisse
del potere del passato, una sorta di nemesi, o di naturale spegnimento, insomma
quello che potreste chiamare anche normale decadimento fisiologico politico. Ma
questa tensione che prima c’era e ora non c’è più, sembrerebbe mostrare Paolo
Azzi come un comune mortale, uno che si è spogliato del mantello
dell’immortalità e mangia al tavolo con tutti, risponde al telefono, saluta
senza mettere in primo piano il proprio interesse e se può, ti aiuta… una cosa
cui non eravamo abituati prima. Una cosa strana.
Prima il potere era esercitato
con maglio di ferro, con sottile sapienza, perfetto calcolo, e ancor più
preciso tornaconto politico. Legittimo? Sì. Bello? Un po’ meno. O meglio, a
quelli che amano essere governati con mano destra e piglio solenne, magari
questo piace, e forse adesso dicono anche: “quando c’era lui…”
Ecco, “quando c’era lui”, va
ricordato che tutte le più fresche novità del giorno in ambito FIE venivano
adottate in Italia, fin dal GPG, materiali in primis.
Per fare un campionato FIE (Coppa
del mondo, Circuito cadetti, Mondiali, Olimpiadi ecc…) serviva triplo strato
800N? La parola d’ordine era: mettiamolo anche noi nel nostro campionato
nazionale. Servono armi maraging? Introduciamole anche nel campionato Prime
lame ed Esordienti (sono ironico ndr). Il passante è trasparente? Piazziamolo
obbligatorio anche da noi, se possibile anche nel bidone aspiratutto della
palestra e nelle abat-jour dei comodini degli atleti. Dobbiamo fare un
calendario che ci faccia attraversare l’Italia dalle Alpi alle Piramidi come
avviene in Coppa del mondo? Facciamolo, che aspettiamo!
Se poi andiamo a guardare le
federazioni dirimpettaie, vediamo che la realtà è molto meno drammatica della
nostra. Tutti gli schermitori a livello nazionale tirano con passanti anche non
trasparenti, hanno divise 350N, e quando diventano Cadetti inseriscono
corazzina 800N, pur mantenendo la medesima divisa, hanno lame marchiate CE, e
per chi ne ha voglia può comprare e utilizzare attrezzature FIE.
A cosa pensano i nostri “vicini
di casa federali”? Credo a una sola cosa: numeri alti e costi bassi procapite.
Cioè se la Federazione è ricca di atleti, allora può fare quello che vuole,
rinunciando sì all’ossessione delle medaglie internazionali, ma avendo un
settore solido e non asfittico. Poi le medaglie olimpiche riservano anche un
aspetto che ha risvolti economici visti i premi elargiti dal CONI. Ma se questi
successi non arrivassero? Saremmo poveri di premi e di atleti e quindi di soldi
e la FIS sarebbe in anossia economica? Per fortuna ci sono i gruppi militari…
(siamo sicuri che sia una fortuna? Vi siete accorti che i gruppi militari (per
la verità uno in particolare) stanno facendo la scalata alla FIS?
Per come la vedo io, sono più
importanti gli atleti, non le medaglie, che pur arriverebbero perché avremmo un
grande numero di società e di praticanti. Soprattutto perché si può sempre
svegliare un italiano o un francese o entrambi a Hong Kong o in Russia e
mettere in pista un atleta che si mangia tutte le medaglie in palio e lasciare
gli italiani e non solo loro, alla fame e in tutti i sensi. Anche perché se la
professione delle armi, all’estero è meglio pagata, gli italiani non ci mettono
molto a emigrare. Negli ultimi centocinquanta anni, guarda caso dall’Unità
d’Italia, gli italiani sono diventati un popolo di emigranti, che hanno
superato per numero gli italici in patria.
Quindi se volessimo vedere la
scherma del futuro, a chi dovremmo farla gestire? A un gruppo di ricchi
imprenditori, o a persone che sono state sempre sulla pedana di scherma e hanno
mantenuto nel possibile un’attività nel bene e nel male mentre aumentavano i
costi?
Ho letto più volte il programma
di Generazione Scherma, e lì compare la promessa di snellire le spese,
migliorando il calendario e le trasferte di conseguenza. Ma anche il programma
di Azzi, parla a più riprese e in più capitoli che non solo saranno aiutate le
armi singole, ma anche le società, specie le piccole, come gli atleti stessi e
a tutti i livelli, dai piccoli ai master.
A chi dare maggior credito? A
coloro che conoscono bene la situazione economica e che possono intervenire
sapendo già dove attingere le necessarie risorse o chi promette su supposte
disponibilità economiche? E, credetemi, quando si fa riferimento a “supposte”
disponibilità bisogna stare molto attenti poiché le “supposte” sono basse
insinuazioni. A parte le battute, ritengo che le scelte vadano fatte non su
“supposte” bensì su dati concreti, i quali ovviamente non si basano su promesse
del “do tutto a tutti” ma sulla concretezza e su ciò che realmente si può
realizzare, soprattutto sulle garanzie a protezione dei piccoli club, che come
detto ne “La scherma dei ricchi Parte I”, sono la base di un certo successo
sportivo da molti anni, senza per questo escludere i grandi ed i medio grandi.
Avevo aperto con un aneddoto
storico che vorrei chiudere dicendo che se i re delle città combattono la
grande Ur per assimilarne e mantenerne il potere e il raggio di azione politico
ed economico, sappiamo che la grande Ur potrebbe cedere e finire i suoi giorni
sotto molti metri di sabbia.
Fabrizio ORSINI
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