19 ottobre 2024

LA SCHERMA DEI RICCHI-parte I°

immagine da google
Sembrava incomprensibile, ma il post di Paolo Azzi, apparso su Facebook l’8 ottobre, lanciava il sasso nel grande stagno della scherma, provocando inaspettate onde che non saprei dire se sono anomale oppure no.

Il titolo del post: “Una federazione per tutti, in cui non prevalgano gli interessi privati di grandi società e organizzatori di camp privati!”, è molto eloquente e getta una luce fosca, se non lugubre su quello che sta accadendo nella scherma italiana, e che è sotto gli occhi di tutti o quasi, ma di cui nessun parla.

Per poter affrontare l’argomento, è necessario avere sott’occhio alcuni numeri che da anni questo blog enuncia senza essere ascoltato, ma che forse è giunto il tempo di ribadire perché i tempi sono maturi.

Se prendiamo la Federazione francese di scherma la FFE, notiamo che a quasi parità di abitanti fra noi e i cugini transalpini, la scherma praticata da loro è di circa 350.000 atleti, contro quelli degli italiani che sono la modestissima cifra di 20.000. Questo dato è interessante perché se in un quadriennio riuscissimo a raddoppiare il numero, il trend verso la radiosa cifra di 100.000 schermitori, potrebbe arrivare solo quando lo scrivente sarà deceduto da un bel pezzo. Non c’è da stare allegri.

Questa piccola federazione italiana però macina medaglie alla grande, e la nuova generazione di schermitori, quelli usciti dal ventennio di Scarso, si sta attrezzando per fornire scherma a un alto livello prestazionale, e a costi molto interessanti, cioè alti e ben remunerativi, cosa che ci fa dire che finalmente la scherma italiana è diventata una professione.

Quanti sono che operano a questo livello? Dal mio osservatorio non più di quattro o cinque società, che stanno facendo dell’ottimo marketing, anche internazionale con discreti e più che legittimi guadagni. A loro va il mio plauso e la mia stima!

Tuttavia resta un popolo di braccianti delle armi, che divulgano il verbo della scherma, e forgiano con infinita pazienza ogni sorta di atleti del settore e che non raggiungeranno mai i profitti di queste ottime società sportive che hanno saputo approfittare del fatto che in Italia mancano concretamente all’appello la bellezza di 80.000 schermitori, forse anche di più.

Il sistema che attualmente è in atto è molto semplice: l’atleta nasce più o meno sempre nella piccola palestra, grazie a un maestro che ha sputato sangue per anni, a un costo annuale molto basso, poi quando l’atleta sale di prestazione o desidera di più, (più avversari, avversari più forti, maggiori ore di allenamento, palestra fissa ecc…) a un certo punto cambia società, per volere o nolere, certo che nella nuova società farà risultato secondo i suoi sogni, e siccome questa società in genere ospita altri grandi nomi della scherma italiana, di certo il risultato se non è garantito, potrebbe andarci molto vicino.

La piccola società nel frattempo si spoglia dell’atleta e ricomincia il duro lavoro nel campo. Per tre anni incassa i punti dello schermitore trasferito, e poi tanti cari saluti.

Per inciso, l’atleta è liberissimo di fare tutto questo, ma rimane il problema della società che vive dei pochi schermitori che riesce a raccogliere, e della fatica che si somma a quella di formarli.

Il problema quindi è duplice, il primo la modesta quantità di schermitori in generale, e di contro il potere di alcuni club che raccolgono atleti. Sinceramente questa raccolta, non la saprei definire con una parola precisa, anche se trust potrebbe andargli molto vicino. La differenza fra trust e una parola nuova potrebbe essere che mentre il trust tende al monopolio, il sistema in atto mantiene alla fame le piccole società che comunque devono continuare a lavorare senza sosta per sopravvivere, mentre le grandi si alimentano del lavoro delle piccole.

Cosa dice quindi Azzi nel suo post? “Una federazione che ascolta solo le realtà più grandi e i gestori dei camp privati [che operano ndr] a scopo di lucro, rischia di perdere di vista le esigenze delle tante [e necessarie aggiungo io] piccole realtà, che sono il cuore pulsante del nostro movimento.

Ecco perché Paolo Azzi si è sbilanciato così tanto e perché le piccole società, ma anche i maestri e gli atleti dovrebbero votarlo, perché il sistema in atto è frutto di un lungo ventennio che ha lavorato e bene nel tenere numeri bassi di società e di atleti.

Fabrizio Orsini

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