Nel “Giulio Cesare” di William
Shakespeare è centrale l’immagine di Antonio che di fronte al cadavere di
Bruto, morto suicida, esclama: “Questo era un uomo”.
Ma qual è la caratteristica che consente
di apprezzare come “uomo” anche il peggiore nemico? Forse quella che conduce
ogni uomo a preservare la propria autenticità e la propria libertà interiore dalla
tentazione della menzogna e dell’ipocrisia grazie alla consapevolezza del fatto
che è piuttosto misero mentire agli altri perché così facendo, prima di tutto,
si mente a se stessi.
A questo punto alcuni di voi si
domanderanno cosa c’entra la giustizia federale con il dramma Shakespeariano.
Adesso tenterò di spiegarlo.
Alcuni giorni fa è stata pubblicata sul sito
F.I.S. la sentenza del Tribunale federale pronunciata sul caso “Sebastiano
Manzoni”.
Per chi non avesse seguito su
questo blog l’ultra nota vicenda dell’affiliazione dell’associazione Accademia
Scherma Palermo, avvenuta in parziale difformità dalle regole federali che ne regolamentano
la procedura, potrà leggere la sentenza che nel ricostruirne i tratti
essenziali giunge ad un giudizio di condanna alquanto blando e marginale.
L’importanza (di segno negativo)
del provvedimento giudiziale risiede non tanto in quello che è stato affermato quanto
piuttosto in ciò che avrebbe dovuto essere accertato.
I giudici federali hanno
ricostruito la vicenda ripercorrendo le difese del Manzoni che, nel tentativo di
attenuare le proprie responsabilità, ha sostenuto un’argomentazione difensiva strutturata
su affermazioni talmente inattendibili che la Procura federale e gli stessi
giudici non potevano non rilevare.
Eppure questo non è avvenuto.
Perché?
Scrivono i giudici che “Manzoni, in sostanza, si era indotto a firmare
in bianco il modulo di affiliazione … soltanto in quanto lo avrebbe
fiduciariamente indirizzato all’avvocato Paola Puglisi, da lui stesso ritenuta garante di piena trasparenza,
sia per la qualità professionale posseduta sia per la carica sociale posseduta
di tesoriere affinché poi lo stesso modulo materialmente compilato potesse
essere inoltrato alla federazione come in effetti avvenuto, essendovi giunto
completo in tutti i suoi campi”
Ma come è possibile che la tesi
difensiva del sig. Manzoni poggi su affermazioni non vere, ai limiti della diffamazione,
per avere ragione delle quali l’avv. Puglisi è stata costretta ad adire le
competenti autorità?
Come è possibile che il sig.
Manzoni non abbia desistito dal chiamare in causa un professionista legale, assumendo
di averlo investito di un incarico fiduciario sebbene nel momento in cui ha
apposto la propria firma “in bianco” per consentire l’affiliazione di Accademia
Scherma Palermo neppure lo conoscesse?
Perché non ammettere fino in
fondo le proprie responsabilità rivelando il nome di colui che gli aveva
richiesto di sottoscrivere quel foglio in bianco, della persona a cui lo ha
realmente consegnato e le ragioni per cui vi ha acconsentito? Quali interessi
dovevano essere tutelati attraverso le fantasiosi invenzioni della difesa e
perché la Procura e il Tribunale Federale non hanno ritenuto necessario
accertarli?
E ancora, come può avere
dimenticato il sig. Manzoni quanto accaduto il 19 gennaio 2014, ovvero oltre un
anno dopo l’apposizione di quella firma “in bianco”, quando in compagnia del
sig. Arturo Torregrossa nel corso della
gara GPG di Mazara del Vallo si presentò per la prima volta al sottoscritto e
all’avvocato Paola Puglisi qualificandosi come Presidente del Comitato
Regionale Sicilia chiedendo di potere
avere un incontro riservato nel quale, al fine di preservare il buon nome della
Federazione e del presidente Giorgio Scarso, come disse, tentò di poter far “chiudere”
la vicenda “Pietro Ingargiola” con una “stretta di mano”?
Purtroppo tutte queste domande
sono destinate a restare senza risposta!
Tuttavia se è vero che nell’ordinamento
giuridico penale del nostro Stato agli imputati è sempre riconosciuto il
sacrosanto diritto di difendersi anche mentendo, non così è per l’ordinamento
sportivo della Fis dove il diritto di difesa trova un limite insuperabile
dinanzi ai superiori principi di lealtà e sportività che non lasciano spazio alla
menzogna.
Questo è proprio quello che ho
avuto modo di sperimentare quando, avendo personalmente assunto la difesa del
dott. Maurizio Gioacchino Seminara, incolpato e deferito al giudizio
federale con l’accusa di avere mentito
al procuratore nel corso di una indagine a cui era stato sottoposto, ho dimostrato l’infondatezza dell’accusa
ottenendone l’assoluzione.
Se ne deduce che nell’ambito
della giustizia federale mentire ad un
organo di giustizia costituisce pur sempre illecito poiché indice di
slealtà e antisportività!
Mi domando allora come mai il
Procuratore e i Giudici federali non hanno ritenuto opportuno verificare la
veridicità delle dichiarazioni difensive rese dal Manzoni, cosa peraltro
agevole sotto il profilo investigativo, in modo da accertare il vero movente
della sua condotta e quindi deferirlo e giudicarlo anche per quello stesso
illecito che l’anno prima avevano ritenuto di dover contestare al dott.
Seminara?
Certo che in questo caso, a
differenza del Seminara, il sig. Manzoni difficilmente avrebbe potuto ottenere una
assoluzione stante l’evidente inconsistenza delle sue difese e una sua condanna
avrebbe avuto ripercussioni non soltanto a livello locale, essendo egli il Presidente
del Comitato Sicilia, ma anche a livello nazionale essendo egli una persona di
stretta fiducia del Presidente Scarso in quanto parte attiva dello Staff
Presidenziale.
Tuttavia c’è sempre tempo per
recuperare una occasione perduta.
Non sarà certo l’inutile
ammonizione inflitta dai giudici federali a poter risolvere la questione ma
forse, rassegnando oggi le proprie dimissioni, il sig. Manzoni potrà finalmente
onorare quei principi di lealtà e sportività che stanno tanto a cuore al Presidente Federale.
A. Fileccia
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