Mattia BORETTI |
Si è concluso ieri l’Europeo di Torun 2016 e
l’Italia ha tagliato il traguardo con sei medaglie: una d’oro (Arianna Errigo
nel fioretto femminile individuale, primo titolo continentale della carriera e
le mani sulla quinta Coppa del Mondo Assoluta), quattro d’argento (nelle prove
a squadre di fioretto maschile e femminile, di sciabola e di spada maschili) e
una di bronzo (Giorgio Avola nel fioretto maschile individuale). Il saldo rispetto
all’edizione svizzera di un anno fa a Montreux è in passivo: -4 medaglie, per
risalire a un risultato simile bisogna tornare a Legnano 2012, che si chiuse
con sole quattro medaglie. L’analogia più evidente con allora potrebbe essere la
caratteristica pre-olimpica dell’Europeo: allora a Londra, un mese dopo,
arrivarono sette medaglie. Oggi la situazione, anche sulla scorta dei risultati
di una stagione intera di Coppa del Mondo che sta per andare agli archivi,
potrebbe riservare sorprese di opposto tenore nell’Olimpiade brasiliana.
I sei giorni dell’Europeo polacco hanno dato
l’impressione, forse per la prima volta in modo plastico, di un’Italia non più
e non necessariamente in prima fila: quattro delle sei medaglie vengono infatti
dalle prove a squadre, dove si può ben dire che l’unione fa la forza
permettendo di mettere insieme il meglio di tre (o talvolta quattro) buone
individualità. I problemi maggiori vengono piuttosto dall’individuale, dove gli
unici due acuti da podio sono venuti dalla classe di Arianna Errigo, sempre più
fra le specialiste del fioretto di tutti i tempi per titoli vinti, qualità e
quantità di risultati ottenuti in questi anni, e da una buona prova di Giorgio
Avola, mancato però sul più bello nell’assalto di semifinale contro il francese
Le Péchoux. Lampi, appunto, individuali che sembrano però lontani dalle
dimostrazioni di forza della Russia (10 medaglie di cui 6 ori, con prospetti
interessanti come Safin nel fioretto maschile) e di completezza della Francia
(9 medaglie suddivise in tutte le armi con il sorprendente argento della spada
femminile a squadre, e una squadra di sciabola femminile che ha davvero
impressionato, mettendo paura alla grande Russia).
Rivolgendo lo sguardo al prossimo futuro, e
dunque all’Olimpiade di Rio che scatterà per la scherma sulle pedane della
Carioca Arena il prossimo 6 agosto, l’annata che ha visto il minor numero di
podi in Coppa del Mondo degli ultimi anni e un Europeo condotto in sostanziale
arretramento rispetto a stagioni in cui si lottava fino all’ultima prova con la
Russia per la conquista del medagliere finale è attesa ora alla prova del nove.
Il tutto in un contesto mondiale, e non più continentale come a Torun, con le
potenze asiatiche (Cina, Corea e in parte Giappone) come sempre affamate di
metalli per il medagliere generale, gli Stati Uniti attesi all’incasso di un
quadriennio olimpico che li ha visti investire fiches importanti sulla
scherma e con “punte” di tutto rispetto (Massialas, Imboden, Kiefer, Zagunis,
Homer tanto per fare qualche nome) e il Sud America che può sempre riservare
sorprese (come l’oro di Limardo nella spada individuale a Londra 2012),
soprattutto in un’Olimpiade vissuta come quella di un intero continente.
Il fioretto appare oggi l’arma più in salute:
Errigo e Di Francisca sono ragionevoli certezze in chiave podio e un oro appare
più di una possibilità – Deriglazova e Kiefer le rivali più accreditate -mentre
a livello maschile la squadra (Cassarà, Baldini, Avola e Daniele Garozzo)
appare la miglior combinazione possibile di esperienza e freschezza atletica,
mentre a livello individuale la sensazione è che servirà una prova di alto
livello per puntare con solidi argomenti al podio.
La sciabola è al contrario l’arma in cui non
si partirà favoriti ai nastri di partenza. A livello maschile le possibili
speranze sono legate in gran parte alle condizioni fisiche di Aldo Montano, un
campione come pochi se ne sono visti in questo sport ma a cui questa volta si
chiede qualcosa di simile a una resurrezione sportiva: operato alla spalla
destra dopo due vittorie consecutive in Coppa del Mondo a Boston e al “Luxardo”
di Padova, il rientro per la quarta Olimpiade della carriera sarà una sorta di all-in
reso ancora più complesso dalla competitività altissima di quest’arma, con
almeno una decina di seri pretendenti alla medaglia d’oro. A livello femminile,
nell’individuale salvo rivoluzioni ad oggi imprevedibili la lotta per il podio
resta circoscritta a un pugno di atlete (Velikaya, Kharlan, Egorian, Zagunis,
forse Kim) così come fra le squadre nell’ordine Russia, Francia, Stati Uniti e
Ucraina sembrano a una distanza difficilmente colmabile dalle azzurre
(Gregorio, Vecchi, Gulotta e Bianco) con l’aggiunta di una gara secca come
quella olimpica.
La spada appare invece come una via di mezzo.
Al maschile le speranze sono tutt’altro che mal riposte: il quartetto per la
prova a squadre (Enrico Garozzo, Pizzo, Santarelli e il rientrante Fichera,
assente per infortunio a Torun) dopo l’autoanalisi di un anno fa coincisa con
l’intervento provvidenziale di un mental coach, il dottor Luigi Mazzone,
che ha contribuito a risolvere una crisi tecnica la cui via d’uscita non era
visibile a occhio nudo, è oggi in grado di fare match pari con tutte le
migliori Nazionali del lotto, e l’Europeo ha dimostrato come anche la Francia non
sia del tutto fuori portata; nell’individuale è invece soprattutto Garozzo a
nutrire speranze di podio, tenendo però conto dell’estrema volatilità di
verdetti che di norma caratterizza la spada alle Olimpiadi. Al femminile
l’unica azzurra presente a Rio sarà Rossella Fiamingo: due volte campionessa
del mondo in carica (2014 e 2015), la catanese è reduce da una stagione finora
negativa, che l’Europeo non ha contribuito a cambiare di segno. Resta l’opzione
dell’asso nella manica tenuto nascosto fino alla prova olimpica, ma il
quoziente di rischio è elevato. A squadre, invece, la questione dopo
quest’Europeo pare seria: al di là del settimo posto finale, l’impressione è
stata quella di un quartetto (Fiamingo, Navarria, Rizzi e Santuccio) incapace
di trovare uno spartito da suonare insieme, senza una reale leadership e senza
apparenti vie d’uscita. Servirà anche qui un mental coach o c’è speranza
che la guida tecnica individui e metta in atto delle soluzioni?
Mattia Boretti