L’Italia della scherma paralimpica chiude l’olimpiade di Parigi con quattro medaglie: un argento per Matteo Betti nel fioretto Cat.A, e tre bronzi, Edoardo Giordan nella sciabola Cat.A, Bebe Vio Grandis nel fioretto Cat.B e nel fioretto femminile a squadre.
Il bottino, non c’è che dire è
cospicuo, anche perché come ricorda il comunicato federale è dal 1996 che
l’Italia non vinceva così tante medaglie nell’olimpiade paralimpica.
Indubbiamente è stata una competizione che ha visto troneggiare un po’ ovunque la Cina, con 18 medaglie, seguiti dagli atleti europei di varie nazioni, benché la Thailandia con 5 medaglie si sia mostrata più che presente specie con Saysunee Jana. Pallidi i coreani, lontanissimi gli atleti del continente panamericano.
Incuriosisce la distanza che la FIE ha posto nelle notizie su Instagram, forse perché non si occupa del paralimpico, ma le ultime informazioni che ha pubblicato risalgono ad agosto, quando si chiudevano le olimpiadi.Personalmente ritengo che la
scherma in carrozzina sia uno sport diverso dalla scherma per normodotati e nel
confronto cosiddetto integrato, di solito gli schermitori paralimpici hanno
sempre la meglio, perché sono atleti eccezionali, e non di certo figli di un
dio minore, come citava un famoso film americano con William Hurt.
Indubbia la necessità di
apportare nuove idee all’intero movimento, che per questo settore sarà di certo
una delle sfide del Presidente Azzi, se riconfermato, nonostante i successi
crescenti.
Personalmente ritengo che grandi
cambiamenti siano complessi, mentre piccoli aggiustamenti continui da apportare
nei quattro anni, siano più efficaci e vadano assolutamente fatti, mostrando
così un focus sul settore che sia adeguato alle necessità e alle aspettative.
Mi sia concesso porre un accento
di ammirazione verso le cerimonie di apertura e chiusura delle Paralimpiadi. Se
solo potessi liquidarle con una parola, dovrei dire: magnifique!
Mi sia concesso che provo invidia
per il fatto che Thomas Jolly & Co. non siano stati capaci di fare identica
cosa per l’edizione delle olimpiadi del CIO. Place de la concorde dove secoli
addietro ghigliottinarono migliaia di innocenti, Robespierre compreso, era
ammantata di bellezza come non mai. L’obelisco di Ramsete II se ne stava
compiaciuto nell’essere trasformato in uno schermo sul quale proiettavano
splendide grafiche e nel frattempo magici danzatori con fiaccole olimpiche
seguivano il ritmo incalzante del mistico Bolerò do Ravel. Il tutto mentre il
palco si era vestito anche dell’ironia dei tanti atleti in carrozzina che
facevano da comprimari ai figuranti. Una ironia che questo sì, i francesi sanno
dosare con abilità. E poi un grandioso circolo di tribune, unica pecca, che ho
trovato un po’ troppo lontane dal parterre, privilegiando ancora una volta gli
spettatori televisivi.
E sempre di invidia, e crescente,
sono stato pervaso al momento della festa finale, in quanto sotto un’acqua
battente di proporzioni quasi bibliche, peggio che nella serata di apertura,
abbiamo visto allo Stade de France, i più grandi e leggendari DJ di Francia.
Evidentemente devono aver ascoltato il mio lamento, perché ad aprire la serata
è stato nientepopodimeno che il settantaseienne Jean Michel Jarre, che sulle
note di Oxigène ha dato il via alle danze vere e proprie e poi è stato solo un
crescendo mirabolante di personaggi che solo metterli assieme dev’essere stato
una specie di miracolo, che gli atleti si sono ampiamente meritati.
E poi niente sbavature, ideologie
gender, né politiche, forse perché la tiratina d’orecchie dev’essere stata
piuttosto forte benché il tema della celebrazione dello sport mi è sembrata un
tantino sotto tono, ma forse, come ha detto più volte mio figlio, è perché sono
semplicemente francesi.
Non mi resta altro che dire
grazie a voi cari atleti, ai maestri che vi allenano, e alle società che vi
hanno formati, ma soprattutto per il vostro sempre grandioso impegno!
Viva la scherma
Fabrizio Orsini
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