12 agosto 2025

QUALCOSA E' CAMBIATO: il pensiero del neo CT della sciabola maschile Andrea TERENZIO.

A cura di Fabrizio Orsini

Quando Melvin Udall, un personaggio interpretato da Jack Nicholson nel film “Qualcosa è cambiato”, scopre che la cameriera che lo serviva ogni giorno a pranzo si era licenziata per problemi familiari comincia a capire qualcosa di sé di cui non si era accorto e fa di tutto per far ritornare le cose come un tempo.

Il suo e quilibrio psichico era stato minato da un evento del tutto imprevedibile cosicché la fatalità costruita per la commedia cinematografica fa sì che le cose comincino a rodare in direzioni farsesche e assurde, come nei migliori film sentimentali americani in cui la catastrofe è sempre dietro l’angolo.

Evidentemente anche nella nazionale maggiore di sciabola maschile, con l’arrivo di Andrea Terenzio in veste di CT, fa capire che “qualcosa è cambiato”. I vecchi equilibri o quel che erano, sono stati ricalibrati grazie a un metodo che con entusiasmante energia, Terenzio ha voluto raccontarci, mostrando una visione del tutto nuova del lavoro ad alto livello.

Daniele Garozzo ha detto nella precedente intervista, che Luca Curatoli è stato “l’uomo mondiale” di Tiblisi, mi viene da dire allora che tu sei il “CT mondiale”.

Mah, non saprei. Certo il lavoro è stato tanto, ma il Luca che avete visto così in forma, deve il suo successo a un lavoro di squadra, assiduo e costante, ma che partiva da uno scenario globale complesso.

Non immaginavamo.

Eh lo so che dalla televisione le cose sembrano diverse, ma la realtà è che Michele Gallo dopo l’europeo si è infortunato all’anca, e da allora a Tbilisi ha fatto solo due allenamenti e potete immaginare come. A causa di questo ci siamo perciò concentrati su protocolli di recupero funzionale e questioni di tipo mentale. Pietro Torre dopo essere uscito dalla sciabola di Zanotti è passato per quella di Bauer, per poi arrivare a Bologna e lavorare con me, tutte cose che nell’arco di un breve periodo e a un preciso livello agonistico, incidono parecchio. Infine Matteo Neri rientrante da una serie di infortuni lunga due anni.

Perdonami, ma con una nazionale così messa, non conveniva lavorare con altre persone e sperimentare?

No. Perché se un allenatore, o un CT aspetta il “giusto allineamento dei pianeti” per avere la squadra migliore del mondo, praticamente non vincerà mai, o comunque la probabilità di avere la giusta combinazione è molto bassa. Bisogna saper ottimizzare tutte le situazioni, anche quelle negative come un infortunio o problemi personali. Gli atleti, quelli davvero forti, non aspettano la giornata di grazia per fare una buona gara.

Tieni presente però che anche le altre nazionali sono nella medesima condizione. Nessuna nazionale al mondo ha una quaterna di atleti tutti al massimo della forma fisica e mentale, perciò noi siamo stati bravi a costruire un risultato che si fonda sullo studio degli atleti, e degli avversari e la preparazione che ne consegue a valle di tutti questi dati.

Un grande lavoro che proviene da una formazione specifica.

Ecco, questo è il centro della questione. Io mentre mi trovavo a lavorare al CS Roma, studiavo presso la facoltà di Scienze motorie con specializzazione in Scienze e tecnologie dello sport, perché volevo fare l’allenatore di scherma. Benché fossi già maestro, sentivo che non mi bastava conoscere solo la tecnica che ha reso grande l’Italia della scherma, perché questo sport e lo sport in generale, è sempre in forte evoluzione. Poi mi sono anche formato come rieducatore funzionale perché avevo bisogno di capire come lavorare sulle persone infortunate e come prevenire gli infortuni. Per questo ho lavorato alla clinica Villa Stewart per un certo periodo, dove ho sviluppato una conoscenza sui carichi di lavoro e i recuperi degli infortunati. Competenze specifiche che hanno contribuito a costruire un modello tuo personale.

Sì. Al punto che se non avessi potuto lavorare come volevo qui in Italia, avrei di certo pensato di cercare un incarico all’estero, ma poiché il progetto immaginato dalla Federazione mi è piaciuto, e corrispondeva alle mi attese, tanto da metterle al centro del lavoro, sono rimasto di buon grado.

Quindi il lavoro con la squadra di sciabola è andato in maniera naturale verso una direzione calcolata, vuoi dirci come ci sei riuscito?

La prima delle cose da fare è saper raccogliere dei dati, delle evidenze, sulle quali poter iniziare un lavoro, quindi con una squadra che si occupa di competenze trasversali alla scherma nuda e cruda. Io ho nella mia squadra di lavoro una psicologa, un responsabile della performance, e un analista di dati. Persone che mi aiutano a capire in primis le capacità di ogni singolo atleta con il quale ho a che fare, e di come posso lavorare io con ognuno di loro. Alla base quindi non c’è solo programmazione analitica, ma soprattutto comunicazione che deve essere efficace, per arrivare ad avere uno schermitore che alla fine o se vogliamo prima di tutto deve essere sicuro di sé.

Poi l’analista mi aiuta a lavorare sugli avversari, in modo da studiarli efficacemente e poter avere tattiche e strategie.

Vorresti approfondire meglio?

Luca è uno sciabolatore che in attacco è molto forte, insieme al suo maestro personale abbiamo strutturato dei lavori per potenziare la difesa.

Parliamo sempre di atleti di alto livello.

Ovvio. Ebbene con un serio lavoro di match analysis abbiamo evidenziato che, per esempio, la maggior parte delle squadre avevano lacune nell’attacco dalle ripartenze, pertanto se bloccati, accusavano delle difficoltà non indifferenti. Noi invece proprio sulle ripartenze degli avversari diventavamo passivi, quindi saper generare una condizione vantaggiosa, cioè le ripartenze e bloccarli è stato uno dei centri di lavoro. Un lavoro minuzioso sullo sviluppare bene e in maniera efficace una difesa attiva in queste condizioni tipiche. Tutte cose che erano già iniziate in vista dell’Europeo e negli allenamenti di Salsomaggiore, subito dopo Genova. Luca poi rispetto agli altri quattro o cinque compagni di squadra, interpretava al meglio questa cosa, e a Tiblisi si è visto, mostrandosi a centro pedana meno prevedibile di prima e perdendo in tal modo quei suoi aspetti che erano eccessivamente diretti e facilmente interpretabili.

Ha però saputo rivestire il ruolo di sciabolatore esperto in un gruppo di giovani.

Teniamo conto che ha trentadue anni, perciò andava ricalibrato il lavoro sui carichi, anche perché ha un ginocchio problematico, per cui bisognava prepararlo in modo corretto. Questo ha aiutato a gestire meglio un Curatoli in una seconda fase della sua carriera che in gara era fresco e capace di esprimersi al suo massimo.

E gli altri?

Su tutti è stato fatto un lavoro individuale a 360 gradi incidendo principalmente sull’atteggiamento di gara, la mentalità globale, per poter creare uno spirito di squadra solido e capace di affrontare le situazioni che si presentavano di volta involta, senza che sorgesse il panico, al fine di gestire solo l’assalto, e non l’arbitro, o altri fattori che avrebbero potuto influire in modo negativo.

Ora che ne parliamo, non hai paura che questo modello possa in qualche modo essere “copiato” o imitato?

Magari venisse copiato. Questa (pensiero personale) è la migliore o forse l’unica direzione da prendere, il futuro, la più efficace, quella che ti permette di avere il massimo controllo del risultato, perché il modello ti permette di cucire l’allenamento sull’atleta e per farlo devi prendere le giuste misure. È un lavoro paziente e costante, mai casuale né di proprietà di una sola persona. E comunque non è facile copiare. Se un CT sa costruire un modello, allora le idee nuove possono giovare, ma se non ha una preparazione ampia, è difficile che ci riesca.

Quindi anche con le Ukraine hai fatto lo stesso lavoro.

Certo che sì. Il cucire su misura l’allenamento su ognuna di loro, e sul gruppo, è stato diverso, ma ricalca il medesimo principio. Ma proprio perché venivano da un mondo del tutto diverso dal nostro è stato fondamentale lavorare con i maestri ukraini, la loro federazione, e una serie di componenti che servivano a realizzare un modello di allenamento efficace per loro.

Anche nel loro caso la medaglia non è stata casuale.

Per nulla. C’è stato un lungo e grande lavoro che si è visto solo nell’ultima stagione. Poi ci tengo a dire che sono uomo di numeri, e ogni successo può essere visto sotto molteplici aspetti e attribuire la vittoria al fatto che non c’erano avversarie del medesimo livello, o perché c’era una atleta forte come la Kharlan in squadra. Oppure perché è stato fatto un lavoro specifico e ben fatto. Personalmente a me non interessa la dietrologia, quanto far sapere cosa accade dietro un successo, in cui io ho preso parte.

Anche con Luigi Samele, quindi lungo lavoro.

Prima che arrivasse a Bologna nel 2016, non aveva vinto quasi nulla, se non un bronzo a Londra nel 2012 in squadra e nessun titolo nazionale. Addirittura non era nemmeno in squadra nella nazionale capeggiata da Occhiuzzi a Rio. Però dopo una programmazione adeguata, negli anni ha vinto quattro titoli italiani, due medaglie olimpiche individuali e un argento a squadre. A quel punto hanno iniziato a chiamarlo “fuoriclasse”, ignorando il lavoro che c’era dietro.

Quindi se con te “qualcosa è cambiato” prova a dirci com’era prima il sistema nazionale.

Prima il sistema nazionale si basava su di un CT che provava ad imporre una linea comune durante i ritiri della nazionale. Ma è impossibile iniziare un processo di crescita e cambiamento quando si lavora direttamente con i ragazzi solo per il 20/30 % del tempo. Si crea più confusione che altro se a casa fanno un lavoro ed in ritiro poi si programma qualcosa di diverso o non coordinato.

L’alto livello andrebbe o completamente delegato alla periferia, o al commissario tecnico.

Sono cose importanti di cui tenere conto.

Ma certo, e in molti casi si vedeva bene che i sistemi di altre nazionali superavano di gran lunga quelli italiani, al punto che non ne venivamo fuori. Il CT quindi deve avere un suo metodo, e deve saper costruire una linea di lavoro univoca su tutto il gruppo e far sentire i singoli schermitori della nazionale, tutti di eguale importanza, perché così deve essere.

Quando hai saputo che avresti lavorato solo sulla nazionale maschile, cosa hai pensato, che ti avevano tarpato un’ala del lavoro di CT?

Nessun problema, anzi proprio in questa suddivisione ho avuto l’opportunità di concentrare ulteriormente le energie in un unico progetto. Aquili poi è appena arrivato, e deve lavorare su un gruppo completo, perciò gli va dato tempo.

La nuova generazione però è in evidente difficoltà, anche rispetto alla passata generazione di sciabolatrici.

Non dimenticare che le donne della sciabola non hanno mai vinto una medaglia olimpica. Se questo è il dato non possiamo aspettarci qualcosa subito. Serve però che si lavori bene e al meglio. Nell’insieme il mondo femminile italiano, oserei dire che non lo conosco per cui non so esprimere un giudizio, se non altro superficiale e se lo facessi, sarebbe ingiusto. Parlo quindi di quello che so e che conosco.

Torniamo quindi al tuo metodo, che hai pienamente sviluppato alla Virtus.

Diciamo che mi ero preparato bene prima di arrivarci. Lì l’ho messo in pratica proprio come desideravo e in questo è stata fondamentale la fiducia di Marcello Scisciolo che dirigeva la società. Gli ho chiesto carta bianca e me l’ha data subito. Con questa premessa ho lavorato sugli U14, gli U20 e U23, con risultati significativi ed entusiasmanti. Quando poi è arrivato Samele, Neri era oramai salito di livello, ho chiesto, sempre a Marcello, di lavorare solo sull’alto livello e me lo ha nuovamente concesso. Non posso che ringraziarlo, perché se sono arrivato a tanto è anche merito suo e alla sua lungimiranza.

Avrai avuto anche ottimi collaboratori che ti hanno sostituito in palestra.

Bondi e Saladini mi hanno aiutato con i gruppi giovanili in maniera egregia, e sono grato anche a loro, con i quali c’è sempre dialogo. Anche perché se lavori ad alto livello il numero di atleti su cui applicarti non possono superare i sette, otto.

Si va verso il professionismo a tutti gli effetti, come il tennis?

Magari. Avrete visto Sinner che ha uno staff ampio per poter raggiungere quei risultati. Bisogna quindi tendere a creare un team intorno agli atleti di prima fascia.

Il volto giovanile di Andrea Terenzio, si addice all’uomo umile che lavora con consapevolezza e maturità, che ringrazio di cuore per avermi rilasciato questa intervista.

3 commenti:

  1. Con atleti reduci da infortuni, percorsi tecnici diversi e livelli di esperienza distanti, il vero “miracolo” di Terenzio non è stato inventare chissà quale formula segreta, ma costruire coesione dove prima c’erano percorsi paralleli.
    Nel giro di pochi mesi è impossibile modificare in profondità il bagaglio tecnico di uno schermitore di alto livello: i gesti, le scelte e le abitudini consolidate richiedono anni per essere trasformati. L’unica vera leva immediata è l’atteggiamento, la gestione emotiva e la capacità di mettere le qualità di ognuno al servizio del gruppo.
    Il risultato, quindi, non nasce da un improvviso “salto tecnico” collettivo, ma dalla creazione di un contesto in cui atleti con storie, problemi fisici e stili di scherma diversi si riconoscono in un obiettivo comune e sono disposti a sostenerlo insieme.
    Mettere Gallo limitato da un infortunio all’anca che gli ha permesso di allenarsi solo in modo ridotto, Neri reduce da due anni di stop e Torre in fase di adattamento non è un compito tecnico: è gestione di gruppo, di egosistemi delicati, di motivazioni individuali.
    In fondo, la tattica si insegna, la tecnica si affina, ma farli remare tutti nella stessa direzione, e pure crederci, è quello che trasforma un gruppo disordinato in una squadra vera.
    E questo, nella sciabola italiana di oggi, è già un mezzo capolavoro. Bravo Andrea. Michele Bonsanto

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  2. Complimenti ad Andrea Terenzio.
    Finalmente un approccio più moderno e scientifico alla scherma.
    È evidente che la sua visione è basata anche su un presupposto fondamentale, che rappresenta quasi un dogma: nello sport moderno, la prevenzione degli infortuni si attua essenzialmente nel corso della preparazione degli atleti, mediante un lavoro d'équipe che integri l'azione del tecnico, del preparatore fisico e del Medico dello Sport (cioè dello specialista in Medicina dello Sport.)
    Il monitoraggio dell'atleta sotto il profilo biomeccanico e funzionale, poi, utilizzando anche le numerose risorse che la tecnologia attuale mette a disposizione, rappresenta un altro aspetto essenziale per ottimizzare la preparazione e sviluppare piani di lavoro efficaci in chiave preventiva.


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  3. La strada per il successo passa sempre dai banchi di scuola. Andrea di studio ne ha fatto tanto e molto ancora ne farà. Encomiabile l'apertura mentale di un tecnico di scherma che oltre a fare ricerca nel vastissimo campo della metodologia dell'allenamento, si avvale della modellazione numerica per la valutazione della prestazione. Devo obbligatoriamente notare che senza l'avvenuto cambio di dirigenza federale questa discussione non sarebbe esistita.

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