A cura di Fabrizio Orsini
Il suo e quilibrio psichico era stato minato da un evento
del tutto imprevedibile cosicché la fatalità costruita per la commedia
cinematografica fa sì che le cose comincino a rodare in direzioni farsesche e
assurde, come nei migliori film sentimentali americani in cui la catastrofe è
sempre dietro l’angolo.
Evidentemente anche nella nazionale maggiore di sciabola
maschile, con l’arrivo di Andrea Terenzio in veste di CT, fa capire che
“qualcosa è cambiato”. I vecchi equilibri o quel che erano, sono stati
ricalibrati grazie a un metodo che con entusiasmante energia, Terenzio ha
voluto raccontarci, mostrando una visione del tutto nuova del lavoro ad alto
livello.
Daniele Garozzo
ha detto nella precedente intervista, che Luca Curatoli è stato “l’uomo
mondiale” di Tiblisi, mi viene da dire allora che tu sei il “CT mondiale”.
Mah, non saprei. Certo il lavoro è stato tanto, ma il Luca
che avete visto così in forma, deve il suo successo a un lavoro di squadra,
assiduo e costante, ma che partiva da uno scenario globale complesso.
Non immaginavamo.
Eh lo so che dalla televisione le cose sembrano diverse, ma
la realtà è che Michele Gallo dopo l’europeo si è infortunato all’anca, e da
allora a Tbilisi ha fatto solo due allenamenti e potete immaginare come. A
causa di questo ci siamo perciò concentrati su protocolli di recupero
funzionale e questioni di tipo mentale. Pietro Torre dopo essere uscito dalla
sciabola di Zanotti è passato per quella di Bauer, per poi arrivare a Bologna e
lavorare con me, tutte cose che nell’arco di un breve periodo e a un preciso
livello agonistico, incidono parecchio. Infine Matteo Neri rientrante da una
serie di infortuni lunga due anni.
Perdonami, ma con una nazionale così messa, non conveniva
lavorare con altre persone e sperimentare?
No.
Perché se un allenatore, o un CT aspetta il “giusto allineamento dei pianeti”
per avere la squadra migliore del mondo, praticamente non vincerà mai, o
comunque la probabilità di avere la giusta combinazione è molto bassa. Bisogna
saper ottimizzare tutte le situazioni, anche quelle negative come un infortunio
o problemi personali. Gli atleti, quelli davvero forti, non aspettano la
giornata di grazia per fare una buona gara.
Tieni presente però che anche le altre nazionali sono nella
medesima condizione. Nessuna nazionale al mondo ha una quaterna di atleti tutti
al massimo della forma fisica e mentale, perciò noi siamo stati bravi a
costruire un risultato che si fonda sullo studio degli atleti, e degli
avversari e la preparazione che ne consegue a valle di tutti questi dati.
Un grande lavoro
che proviene da una formazione specifica.
Ecco, questo è il centro della questione. Io mentre mi
trovavo a lavorare al CS Roma, studiavo presso la facoltà di Scienze motorie
con specializzazione in Scienze e tecnologie dello sport, perché volevo fare
l’allenatore di scherma. Benché fossi già maestro, sentivo che non mi bastava
conoscere solo la tecnica che ha reso grande l’Italia della scherma, perché
questo sport e lo sport in generale, è sempre in forte evoluzione. Poi mi sono
anche formato come rieducatore funzionale perché avevo bisogno di capire come
lavorare sulle persone infortunate e come prevenire gli infortuni. Per questo
ho lavorato alla clinica Villa Stewart per un certo periodo, dove ho sviluppato
una conoscenza sui carichi di lavoro e i recuperi degli infortunati. Competenze specifiche che hanno contribuito
a costruire un modello tuo personale.
Sì. Al punto che se non avessi potuto lavorare come volevo
qui in Italia, avrei di certo pensato di cercare un incarico all’estero, ma
poiché il progetto immaginato dalla Federazione mi è piaciuto, e corrispondeva
alle mi attese, tanto da metterle al centro del lavoro, sono rimasto di buon
grado.
Quindi il lavoro
con la squadra di sciabola è andato in maniera naturale verso una direzione
calcolata, vuoi dirci come ci sei riuscito?
La prima delle cose da fare è saper raccogliere dei dati,
delle evidenze, sulle quali poter iniziare un lavoro, quindi con una squadra
che si occupa di competenze trasversali alla scherma nuda e cruda. Io ho nella
mia squadra di lavoro una psicologa, un responsabile della performance, e un
analista di dati. Persone che mi aiutano a capire in primis le capacità di ogni
singolo atleta con il quale ho a che fare, e di come posso lavorare io con
ognuno di loro. Alla base quindi non c’è solo programmazione analitica, ma
soprattutto comunicazione che deve essere efficace, per arrivare ad avere uno
schermitore che alla fine o se vogliamo prima di tutto deve essere sicuro di
sé.
Poi l’analista mi aiuta a lavorare sugli avversari, in modo
da studiarli efficacemente e poter avere tattiche e strategie.
Vorresti
approfondire meglio?
Luca è uno sciabolatore che in attacco è molto forte,
insieme al suo maestro personale abbiamo strutturato dei lavori per potenziare
la difesa.
Parliamo sempre
di atleti di alto livello.
Ovvio. Ebbene con un serio lavoro di match analysis abbiamo
evidenziato che, per esempio, la maggior parte delle squadre avevano lacune
nell’attacco dalle ripartenze, pertanto se bloccati, accusavano delle
difficoltà non indifferenti. Noi invece proprio sulle ripartenze degli
avversari diventavamo passivi, quindi saper generare una condizione
vantaggiosa, cioè le ripartenze e bloccarli è stato uno dei centri di lavoro.
Un lavoro minuzioso sullo sviluppare bene e in maniera efficace una difesa
attiva in queste condizioni tipiche. Tutte cose che erano già iniziate in vista
dell’Europeo e negli allenamenti di Salsomaggiore, subito dopo Genova. Luca poi
rispetto agli altri quattro o cinque compagni di squadra, interpretava al
meglio questa cosa, e a Tiblisi si è visto, mostrandosi a centro pedana meno
prevedibile di prima e perdendo in tal modo quei suoi aspetti che erano
eccessivamente diretti e facilmente interpretabili.
Ha però saputo
rivestire il ruolo di sciabolatore esperto in un gruppo di giovani.
Teniamo conto che ha trentadue anni, perciò andava
ricalibrato il lavoro sui carichi, anche perché ha un ginocchio problematico,
per cui bisognava prepararlo in modo corretto. Questo ha aiutato a gestire
meglio un Curatoli in una seconda fase della sua carriera che in gara era
fresco e capace di esprimersi al suo massimo.
E gli altri?
Su tutti è stato fatto un lavoro individuale a 360 gradi
incidendo principalmente sull’atteggiamento di gara, la mentalità globale, per
poter creare uno spirito di squadra solido e capace di affrontare le situazioni
che si presentavano di volta involta, senza che sorgesse il panico, al fine di
gestire solo l’assalto, e non l’arbitro, o altri fattori che avrebbero potuto
influire in modo negativo.
Ora che ne
parliamo, non hai paura che questo modello possa in qualche modo essere
“copiato” o imitato?
Magari venisse copiato. Questa (pensiero personale) è la
migliore o forse l’unica direzione da prendere, il futuro, la più efficace,
quella che ti permette di avere il massimo controllo del risultato, perché il
modello ti permette di cucire l’allenamento sull’atleta e per farlo devi
prendere le giuste misure. È un lavoro paziente e costante, mai casuale né di
proprietà di una sola persona. E comunque non è facile copiare. Se un CT sa
costruire un modello, allora le idee nuove possono giovare, ma se non ha una
preparazione ampia, è difficile che ci riesca.
Quindi anche con
le Ukraine hai fatto lo stesso lavoro.
Certo che sì. Il cucire su misura l’allenamento su ognuna
di loro, e sul gruppo, è stato diverso, ma ricalca il medesimo principio. Ma
proprio perché venivano da un mondo del tutto diverso dal nostro è stato
fondamentale lavorare con i maestri ukraini, la loro federazione, e una serie
di componenti che servivano a realizzare un modello di allenamento efficace per
loro.
Anche nel loro
caso la medaglia non è stata casuale.
Per nulla. C’è stato un lungo e grande lavoro che si è
visto solo nell’ultima stagione. Poi ci tengo a dire che sono uomo di numeri, e
ogni successo può essere visto sotto molteplici aspetti e attribuire la
vittoria al fatto che non c’erano avversarie del medesimo livello, o perché
c’era una atleta forte come la Kharlan in squadra. Oppure perché è stato fatto
un lavoro specifico e ben fatto. Personalmente a me non interessa la
dietrologia, quanto far sapere cosa accade dietro un successo, in cui io ho preso
parte.
Anche con Luigi
Samele, quindi lungo lavoro.
Prima che arrivasse a Bologna nel 2016, non aveva vinto
quasi nulla, se non un bronzo a Londra nel 2012 in squadra e nessun titolo
nazionale. Addirittura non era nemmeno in squadra nella nazionale capeggiata da
Occhiuzzi a Rio. Però dopo una programmazione adeguata, negli anni ha vinto
quattro titoli italiani, due medaglie olimpiche individuali e un argento a
squadre. A quel punto hanno iniziato a chiamarlo “fuoriclasse”, ignorando il
lavoro che c’era dietro.
Quindi se con te
“qualcosa è cambiato” prova a dirci com’era prima il sistema nazionale.
Prima il sistema nazionale si basava su di un CT che
provava ad imporre una linea comune durante i ritiri della nazionale. Ma è
impossibile iniziare un processo di crescita e cambiamento quando si lavora
direttamente con i ragazzi solo per il 20/30 % del tempo. Si crea più
confusione che altro se a casa fanno un lavoro ed in ritiro poi si programma
qualcosa di diverso o non coordinato.
L’alto livello andrebbe o completamente delegato alla
periferia, o al commissario tecnico.
Sono cose
importanti di cui tenere conto.
Ma certo, e in molti casi si vedeva bene che i sistemi di
altre nazionali superavano di gran lunga quelli italiani, al punto che non ne
venivamo fuori. Il CT quindi deve avere un suo metodo, e deve saper costruire
una linea di lavoro univoca su tutto il gruppo e far sentire i singoli
schermitori della nazionale, tutti di eguale importanza, perché così deve
essere.
Quando hai saputo
che avresti lavorato solo sulla nazionale maschile, cosa hai pensato, che ti
avevano tarpato un’ala del lavoro di CT?
Nessun problema, anzi proprio in questa suddivisione ho
avuto l’opportunità di concentrare ulteriormente le energie in un unico
progetto. Aquili poi è appena arrivato, e deve lavorare su un gruppo completo,
perciò gli va dato tempo.
La nuova
generazione però è in evidente difficoltà, anche rispetto alla passata
generazione di sciabolatrici.
Non dimenticare che le donne della sciabola non hanno mai
vinto una medaglia olimpica. Se questo è il dato non possiamo aspettarci
qualcosa subito. Serve però che si lavori bene e al meglio. Nell’insieme il
mondo femminile italiano, oserei dire che non lo conosco per cui non so
esprimere un giudizio, se non altro superficiale e se lo facessi, sarebbe
ingiusto. Parlo quindi di quello che so e che conosco.
Torniamo quindi
al tuo metodo, che hai pienamente sviluppato alla Virtus.
Diciamo che mi ero preparato bene prima di arrivarci. Lì
l’ho messo in pratica proprio come desideravo e in questo è stata fondamentale
la fiducia di Marcello Scisciolo che dirigeva la società. Gli ho chiesto carta
bianca e me l’ha data subito. Con questa premessa ho lavorato sugli U14, gli
U20 e U23, con risultati significativi ed entusiasmanti. Quando poi è arrivato
Samele, Neri era oramai salito di livello, ho chiesto, sempre a Marcello, di
lavorare solo sull’alto livello e me lo ha nuovamente concesso. Non posso che
ringraziarlo, perché se sono arrivato a tanto è anche merito suo e alla sua
lungimiranza.
Avrai avuto anche
ottimi collaboratori che ti hanno sostituito in palestra.
Bondi e Saladini mi hanno aiutato con i gruppi giovanili in
maniera egregia, e sono grato anche a loro, con i quali c’è sempre dialogo.
Anche perché se lavori ad alto livello il numero di atleti su cui applicarti
non possono superare i sette, otto.
Si va verso il
professionismo a tutti gli effetti, come il tennis?
Magari. Avrete visto Sinner che ha uno staff ampio per
poter raggiungere quei risultati. Bisogna quindi tendere a creare un team
intorno agli atleti di prima fascia.
Il volto giovanile di Andrea Terenzio, si addice all’uomo
umile che lavora con consapevolezza e maturità, che ringrazio di cuore per
avermi rilasciato questa intervista.
Con atleti reduci da infortuni, percorsi tecnici diversi e livelli di esperienza distanti, il vero “miracolo” di Terenzio non è stato inventare chissà quale formula segreta, ma costruire coesione dove prima c’erano percorsi paralleli.
RispondiEliminaNel giro di pochi mesi è impossibile modificare in profondità il bagaglio tecnico di uno schermitore di alto livello: i gesti, le scelte e le abitudini consolidate richiedono anni per essere trasformati. L’unica vera leva immediata è l’atteggiamento, la gestione emotiva e la capacità di mettere le qualità di ognuno al servizio del gruppo.
Il risultato, quindi, non nasce da un improvviso “salto tecnico” collettivo, ma dalla creazione di un contesto in cui atleti con storie, problemi fisici e stili di scherma diversi si riconoscono in un obiettivo comune e sono disposti a sostenerlo insieme.
Mettere Gallo limitato da un infortunio all’anca che gli ha permesso di allenarsi solo in modo ridotto, Neri reduce da due anni di stop e Torre in fase di adattamento non è un compito tecnico: è gestione di gruppo, di egosistemi delicati, di motivazioni individuali.
In fondo, la tattica si insegna, la tecnica si affina, ma farli remare tutti nella stessa direzione, e pure crederci, è quello che trasforma un gruppo disordinato in una squadra vera.
E questo, nella sciabola italiana di oggi, è già un mezzo capolavoro. Bravo Andrea. Michele Bonsanto
Complimenti ad Andrea Terenzio.
RispondiEliminaFinalmente un approccio più moderno e scientifico alla scherma.
È evidente che la sua visione è basata anche su un presupposto fondamentale, che rappresenta quasi un dogma: nello sport moderno, la prevenzione degli infortuni si attua essenzialmente nel corso della preparazione degli atleti, mediante un lavoro d'équipe che integri l'azione del tecnico, del preparatore fisico e del Medico dello Sport (cioè dello specialista in Medicina dello Sport.)
Il monitoraggio dell'atleta sotto il profilo biomeccanico e funzionale, poi, utilizzando anche le numerose risorse che la tecnologia attuale mette a disposizione, rappresenta un altro aspetto essenziale per ottimizzare la preparazione e sviluppare piani di lavoro efficaci in chiave preventiva.
La strada per il successo passa sempre dai banchi di scuola. Andrea di studio ne ha fatto tanto e molto ancora ne farà. Encomiabile l'apertura mentale di un tecnico di scherma che oltre a fare ricerca nel vastissimo campo della metodologia dell'allenamento, si avvale della modellazione numerica per la valutazione della prestazione. Devo obbligatoriamente notare che senza l'avvenuto cambio di dirigenza federale questa discussione non sarebbe esistita.
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