In data 30 settembre 2014, sui
maggiori quotidiani italiani, sportivi e non, campeggia la notizia della
condanna di Giovanni Malagò a 16 mesi di squalifica perché ritenuto, nella qualità di presidente del circolo Canottieri
Aniene di Roma, responsabile di mancata
lealtà e di dichiarazioni lesive della reputazione di Barelli, presidente della
Federazione Italiana Nuoto.
Chiaramente la notizia ha suscitato un me un forte interesse poiché
coinvolge la Giustizia Sportiva ed il Capo dello sport Italiano. Come ben
sapete su queste pagine sono state versate diverse quantità di inchiostro
sull’argomento Giustizia Sportiva ed incompatibilità di cariche, quindi ho
cercato, leggendo attentamente gli articoli, di capirne di più.
Secondo quanto riportato dai media,
a pronunzia del giudice di primo grado, interno al sistema della
giustizia sportiva della federnuoto, ha giudicato di rilevanza disciplinare la
condotta tenuta da Malagò per il modo con cui avrebbe esposto, in sede di
giunta CONI, una vicenda che vede proprio il presidente della Federnuoto
soggetto ad indagini penali in merito ad una supposta vicenda di natura
contabile. Frasi che la commissione disciplinare della Fin ha ritenuto gravemente
lesive.
Ciò che salta agli occhi è però il fatto che i difensori di Malagò sembra abbiano sollevato
eccezioni di nullità, illegittimità e incompetenza, depositando un parere,
richiesto dalla Giunta CONI al Collegio di Garanzia dello Sport, che chiariva che
gli organi di giustizia Federali non hanno competenza a giudicare vicende del
genere. Nell’ottica di tale tesi difensiva la Commissione disciplinare della Fin
avrebbe quindi disatteso l’autorevolissimo parere del Collegio di garanzia che
esplicitamente escludeva la titolarità del procedimento in capo alla
Commissione disciplinare della Federazione italiana nuoto.
Sotto un profilo prettamente sostanziale la questione presenta aspetti di
particolare interesse poiché, in primo luogo, ove il procedimento disciplinare giunga
fino all’ultimo grado di giudizio, ovvero innanzi al Collegio di Garanzia, l’ipotesi
di una conferma della sentenza di condanna
appare improbabile, avendo questo Organo già espresso il proprio parere
sulla questione. Se poi si volesse considerare anche il fatto che l’articolo 5
della Statuto Coni impone ai componenti degli
organi del comitato olimpico, ai fini della loro permanenza nella titolarità di
quelle funzioni di “non aver riportato nell’ultimo decennio squalifiche o inibizioni
sportive definitive complessivamente superiori a un anno, da parte delle
Federazioni sportive nazionali” è ben comprensibile che una condanna definitiva rischierebbe di intaccare gravemente la posizione di Malagò non solo
come presidente del Circolo Aniene ma anche e soprattutto come presidente del
CONI.
A questo punto non restano da fare che tre considerazioni:
la prima riguarda la funzione consultiva
attribuita e rivendicata dal Collegio di Garanzia e la legittimità del parere
espresso da quest’ultimo su richiesta della Giunta Coni ed utilizzato, nel caso
di specie, a difesa delle ragioni del
Presidente Malagò
Detta
funzione consultiva risulta compiutamente disciplinata dall’art. 3 del REGOLAMENTO DI ORGANIZZAZIONE E FUNZIONAMENTO
DEL COLLEGIO DI GARANZIA DELLO SPORT e
tale norma non sembra lasci spazio ad interpretazioni estensive che si
spingano fino al punto di riconoscergli la capacità di incidere in modo
radicale sul potere decisionale che l’ordinamento sportivo riserva agli organi
della giustizia federale, pregiudicandolo ex ante prima che la funzione
giudiziaria attraversi tutte le fasi di pertinenza;
la seconda considerazione riguarda
invece il contraddittorio comportamento del Presidente del Coni che, a fronte
delle molteplici segnalazioni pervenutegli si è sempre eretto a paladino
dell’autonomia dei sistemi di giustizia federali che oggi, al contrario sembra
voler contenere oltre misura;
la
terza ed ultima considerazione riguarda invece ciò che si potrebbe definire la
capacità di autocontrollo e di rispetto delle istituzioni sportive, con la
quale ci si dovrebbe comunque aspettare da parte di chi occupa il posto di
massimo vertice nell’ambito dell’ordinamento sportivo, la cui condotta, fermo
restando il sacrosanto diritto di difendersi presso le opportune sedi, dovrebbe
essere sempre di esempio per tutti ed evitare esternazioni come quelle
riportate dalla stampa nazionale (" Il mondo dello sport si
vergogna per questa sentenza". "Spero non ci sia qualche altro
parente in giro")
che si traducono in una caduta di stile.
Mi
chiedo: perché il Presidente del CONI, in quanto soggetto garante e terzo per
tutto il movimento sportivo, non abbia rimesso la carica di Presidente del
Circolo canottieri Aniene? Ciò gli avrebbe evitato, quantomeno, di entrare in
un conflitto giuridico, con la federnuoto, per il quale egli oggi potrebbe non
assumere quel ruolo di imparzialità che la sua funzione richiede.
Una
cosa è certa, gli antichi proverbi non sbagliano mai; e uno di questi recita
così:LA GIUSTIZIA E’ UNA COSA BELLA SOLO QUANDO BUSSA ALLA PORTA DEGLI ALTRI!
Ezio RINALDI
La vicenda da cui è stato travolto il Presidente Malagò induce a riflettere.
RispondiEliminaIn teoria, fra le tante le beffe che la sorte può riservare ad un uomo è certamente orribile quella per cui l’anelito profondo per una giustizia (sportiva) più giusta gli sia stato ricambiato in un modo del tutto sconveniente.
Ma, in concreto, a chi spettava esprimere un giudizio sulla vicenda se non a quegli organi di cui oggi il Presidente Malagò stigmatizza l’operato?
Quanto è opportuno che il più alto vertice dello sport italiano esterni pesanti critiche nei confronti di un organo di giustizia legittimamente costituito, sconfinando oltre i limiti consentiti da un ordinamento normativo cui volontariamente aderisce?
Antonello Fileccia
Caro Ezio, vorrei commentare in un modo più ampio, in realtà l'ho fatto con un lungo commento che il blog ha cancellato... forse è una nemesi per il fatto che era troppo lungo e troppo "profondo", in ogni caso come ben sai è non solo nel campo cui il tuo articolo si riferisce che si evidenzia in questi tempi che la "giustizia" è bella solo se bussa alla porta di qualcun altro...; ma io ti dico, invece che la "giustizia" non è mai Bella alla porta di chicchessia, anzi della "giustizia" dovremmo fare a meno tutti; nessuno ha bisogno della "giustizia" di qualsivoglia ordine e grado, si tratti, che sia "centrale" "federale" di "garanzia" del coni e/o nazionale..., ma tutti ed io per primo, sarei contento di sentire bussare la "Giustizia" alla mia porta, anzi vorrei essere svegliato tutte le mattine dai rintocchi della "Giustizia", poichè in un insieme di persone, solo la "Giustizia" permette di rendere quell'agglomerato di esseri viventi un "Paese Civile", una "Organizzazione Civile"... insomma "L'Italia" e non "l'italia" di pecoroni, leccaculo, servi della gleba, potenti impotenti, approfittatori del momento ed acrobati saltatori di carri "altrui" (purchè, sempre, relativi ad una della precedenti categorie citate).
RispondiEliminadi talché non ti resta che sperare che con la riforma della "squola" i grandi "maestri" insegnino ai giovani che questo era una "Grande Paese" e che l'ortografia conta ... uhhh se conta..., come si può evidenziare dalle piccole differenze tra le parole quando le puoi citare con la corretta grafia che modifica il loro significato!