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Dr. Maurizio FUMO-ex Presidente V^ sezione della Suprema Corte di Cassazione |
Come molti
si aspettavano (e come alcuni ardentemente desideravano), la giurisprudenza
federale, dopo una lunga (e forse travagliata) gestazione, ha partorito una
decisione “difensiva” che consente di non annullare (per ora) la tornata
elettorale recentemente conclusasi.
Effettuato,
in corsa, un rapido cambio di testimone tra relatore ed estensore (cosa che nei
collegi giudicanti, in genere, accade quando il relatore, che è l’estensore
naturale e “predestinato” della decisione, è stato messo in minoranza), il
tribunale federale ha assunto una così detta decisione di urgenza. Ebbene si,
così detta perché, in realtà, ci ha pensato non pochi giorni. Prima, per
attendere la provvidenziale relazione del segretario generale Cannella; poi,
per meditarla bene (tanto da riprodurne alla lettera i passi più illuminanti);
infine, per emettere la sua decisione, corredata da una motivazione, con
riferimento alla quale la mia opinione emergerà (mi auguro inequivocamente) sulla
base delle considerazioni che mi accingo a formulare.
Mi hanno
particolarmente colpito due punti, il primo e l’ultimo e su di essi mi
soffermerò.
Cominciamo
dalla fine. I reclamanti avevano fatto presente che in alcuni seggi i votanti
non erano stati identificati o che, almeno, non esisteva traccia di tale
identificazione. Traccia scritta intendo dire. Il tribunale, premesso che la
federazione non ha mai dato tassative disposizioni sullo svolgimento delle
operazioni di voto, “consentendo la
adozione di autonome procedure per l’identificazione dei soggetti ammessi al
voto”, afferma che tutto si è svolto in maniera regolare e, in particolare, che è stata
attestata la identità dei soggetti ammessi al voto. Come sia stata effettuata
tale individuazione, però, la motivazione della decisione non lo chiarisce, pur
essendo stata proprio questa la censura formulata dai reclamanti, i quali hanno
osservato che non vi è traccia scritta (o altrimenti documentata) della
identità delle persone il cui voto è stato ritenuto validamente espresso. Come
dire: qualcuno è venuto a votare e noi altri, componenti del seggio, li abbiamo
ammessi a votare, quindi è ovvio che sapevamo di chi si trattava. Insomma:
fidatevi di noi, che sappiamo il fatto nostro e il tribunale, a quanto pare, si
è fidato. Se fosse un ragionamento, non farebbe - come si dice - una piega, ma
non lo è; è un atto d’imperio ed un paralogismo che giustifica una condotta
perché quella condotta ha avuto luogo.
La seconda questione
riguarda l’annosa controversia tra la federazione e l’Accademia Nazionale di
Scherma. Gli interessati avevano fatto notare che erano stati ammessi al voto
nella categoria dei cc. dd. “tecnici” non poche persone (oltre 20) che non
avevano conseguito il diploma presso l’Accademia, ma presso la FIS. Ebbene
tutti nel nostro mondo, ormai, sanno che esistono due sentenze del Giudice
amministrativo (quello che pronuncia in nome del Popolo Italiano, non della
federazione scherma), che hanno chiarito che i titoli di istruttore nazionale
(secondo livello) e maestro (terzo livello) li può rilasciare solo l’Accademia.
Tanto ciò è vero che il TAR ha annullato (e il Consiglio di Stato ha confermato
l’annullamento) gli esami (e, ovviamente, i titoli) rilasciati dalla FIS ed ha
condannato quest’ultima a risarcire i danni cagionati all’Accademia. Ma, si
legge nella relazione Cannella (e quindi nella decisione del tribunale), che,
non essendo stati impugnati gli esami (abusivi) successivamente svolti, i diplomati
della FIS (quelli postumi) sono diplomati “veri”, con tanto di diritto di
elettorato attivo. Insomma, secondo la Cannella-relazione (e la consonante Marinello-motivazione), l’Accademia Nazionale
di Scherma dovrebbe “inseguire” la federazione nei suoi percorsi contra legem, impugnando, di volta in volta,
le singole sedute di esame. Tesi interessante, non c’è che dire! Interessante
ed onerosa dal punto di vista economico, ma solo per l’Accademia, che paga di
tasca propria (e dei propri soci, personalmente), molto meno (o niente affatto)
per la federazione che attinge a “soldi pubblici”, generosamente messi a
disposizione dal CONI, per consentirle,
a quanto pare, di eludere il giudicato.
Ma è davvero
così? Non direi proprio, anche perché il Giudice amministrativo ha annullato,
non solo gli esami, ma anche il regolamento generale SNaQ, in base al quale gli
esami furono allora (e sono stati dopo) banditi ed espletati dalla FIS. Dunque
è stata annullata, per così dire, “la matrice” di tutte le prove di esame che
la FIS ha svolto e intende svolgere. Ma c’è di più: quel regolamento SNaQ non è
mai stato approvato dal CONI, quindi tamquam
non esset: è un pezzo di carta senza alcun valore, invalido nella sua
genesi e, come se non bastasse, annullato dal TAR Lazio. Che si vuole di più?
Ammesso che
si possa ipotizzare che il tribunale federale ignorasse tale seconda
circostanza (ma pare difficile perché i reclamanti la avevano evidenziata),
davvero non sembra possibile che ignorasse la prima, perché risulta dalle
sentenze del Giudice amministrativo appena citate. Ma le sentenze del TAR e del
Consiglio di Stato sono state lette, evidentemente, con un occhio solo perché
il tribunale federale le utilizza …. per metà e ne trae, poi, conclusioni, a
dir poco, sconcertanti. E infatti il TAR aveva chiarito che la legittimazione
(e l’esclusiva) dell’Accademia al rilascio di titoli validi per l’insegnamento
riposano su quattro pilastri: a) il RD del 1880 e i successivi “richiami”, b)
la normativa europea recepita dall’ordinamento italiano, c) la consuetudine
ultracentenaria, d) lo stesso statuto della FIS (cfr., sentenza TAR punti 2.2,
2.3. 2.4, Consiglio di Stato, punti 3.4 e 3.8 del “considerato in diritto”). Ed
è allora evidente che i quattro “pilastri” non hanno tutti la stessa solidità e
consistenza, in quanto basterebbero i primi due per reggere l’edificio. Ma il
tribunale federale, con una lettura, appunto, strabica, vede solo i secondi due
e su di essi realizza la sua costruzione, che, per rimanere nella metafora, non
si può che definire abusiva. Per altro, da tale federalmente orientata
ricostruzione delle “fonti”, il tribunale trae una conclusione davvero strabiliante,
anche perché in contrasto frontale con quanto lo stesso collegio (intendo nella
medesima composizione!) aveva deciso in data 18 luglio 2019 (decisione n. 3),
che a pag. 5 reca : “… il tribunale
considera che le censure formulate nei confronti di una parte degli articoli
sono fondate, in quanto le modifiche apportate dall’assemblea si pongono in
contrasto con disposizioni di legge, ovvero
non recepiscono correttamente i
Principi. E ciò con riferimento ai seguenti sette articoli ecc.….”. Ebbene
i primi articoli citati, come si legge nella seguente pag. 6, sono: art 1 comma 10 e art. 52, vale a dire
quelli in cui la FIS, varando la c.d. scuola magistrale, aveva pensato di
ignorare la competenza dell’Accademia. E appunto, per non esser da meno, il
tribunale schermistico, ignorando se stesso, il TAR e il Consiglio di Stato, va
ben oltre. E “qui viene il graziosissimo” (come avrebbe esclamato un fine
dicitore da cafè chantant):
argomentano infatti i giudicanti che, poiché la FIS, con il nuovo statuto, si è
autoattribuita la facoltà di bandire gli esami e conferire i titoli (secondo e
terzo livello), allora l’esclusiva dell’Accademia non esiste più. Insomma lo
statuto di un soggetto privato può “scavalcare” la sentenza della massima
istanza giurisdizionale amministrativa (il Consiglio di Stato). E quindi: per
porre nel nulla il decisum (non più
impugnabile, come nel nostro caso) di un giudice, basta che il soggetto
soccombente in giudizio sia dia, dopo la sentenza sfavorevole, qualche nuova
regola e … il gioco è fatto! Stiamo dunque attenti a quel che scriverà la
prossima volta la federazione nei suoi corpora
normativi, analizziamo con attenzione le interpretazione che ne fornirà il suo acuto
segretario generale, esaminiamo diligentemente la conseguente esegesi che ne
farà il corrispettivo tribunale, perché potremmo scoprire che la FIS, motu proprio, si è investita di chissà
quali altre prerogative.
Ora io non
saprei dire se è più grave “l’omissione cognitiva” del tribunale federale, che
legge solo per metà le sentenze del Giudice amministrativo, o è più fantasiosa
la conclusione che lo stesso trae dalla lettura della metà che utilizzza. Cosa
certa è che la decisione del predetto organo giudicante è gravemente
deficitaria sul piano fattuale, ancor prima che su quello giuridico. La
recentissima giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione (in nome del
Popolo Italiano ecc.) è approdata, dopo lunga elaborazione, alla definizione
della categoria del “falso in sentenza” (cfr. sez. 5, sent. n 97 del
21.11.2019, dep. 3.1.2020 e n. 31271 del 21.9.2020, dep. 9.11.2020).
Naturalmente, poiché nel nostro ordinamento i delitti contro la fede pubblica
sono esclusivamente dolosi, la fattispecie resta integrata solo se il
giudicante ha voluto rendere una decisione non conforme alla logica e al
diritto. A ben vedere, il falso altro non è che un errore volontario (e
ovviamente l’errore è un falso involontario e inconsapevole). Ebbene, non vi è
ragione alcuna per ritenere che il tribunale federale abbia intenzionalmente
motivato e deciso in modo errato, anche perché un anno fa - come si è detto -
lo stesso collegio aveva deciso in senso diametralmente opposto e non è
ipotizzabile che i tre giudicanti abbiano voluto intenzionalmente e
consapevolmente contraddirsi. Molto più credibile che siano stati sedotti dallo
scritto del segretario generale della federazione, che infatti, come si è
anticipato, è rispecchiato in non poche parti della decisione che si commenta. Discipuli
iurant in verba magistri si sarebbe detto una volta.
Ma con ciò
basta. Lasciamo riposare in pace una motivazione che davvero lo merita e
pensiamo alle conseguenze.
Sul versante
elettorale, immagino, gli interessati impugneranno in ogni sede in cui ciò sia
possibile; i risultati delle elezioni, dunque, non sono affatto al sicuro.
Sul
versante, per così dire, personale, i diplomati FIS dovranno prestare la
massima attenzione alle loro future condotte, perché, con buona pace dei
segretari generali, dei giudici federali e dei loro entusiastici follower, comportarsi come maestri (o
istruttori nazionali) di scherma, senza aver conseguito un vero e regolare
diploma, vale a dire quello inequivocamente indicato per tale dal TAR Lazio e
dal Consiglio di Stato, integra il delitto di cui all’art. 348 cod. pen.
(esercizio abusivo di una professione).
Il tempo della
comprensione, della tolleranza, dell’appeasement ormai è spirato.
Maurizio FUMO