Vorrei
parlarvi di un aspetto della nostra quotidianità e cioè il “dissenso”. Cosa si intende
con questo sostantivo? Semplicemente una diversità di pensiero, quindi un
complesso di atteggiamenti con i quali si manifesta una diversità di vedute
sulla realizzazione di progetti o atti professionali e politici.
Cosa diversa è la contrapposizione alla realizzazione di un piano politico, religioso o gestionale. Nel campo sportivo il dissenso si manifesta nella divergenza di attuazione o di gestione tecnico/politico, ovvero le forme di realizzazione di un programma. Con il dissenso non si manifesta una contrapposizione, semplicemente un modo di vedere diverso da altri.
Purtroppo è consuetudine dare al dissenso la veste di oppositore ad una certa linea, in realtà aderendo ad esempio ad un piano di rinnovamento impostato su concetti di assoluto rispetto per le opinioni altrui e, quindi, su presupposti di democrazia reale, si possono mettere in discussione le modalità attuative o, se volete, i criteri per la realizzazione del progetto ma non il progetto in se, che resta il perno intorno al quale dovrà girare la ruota.
Accade spesso e volentieri che i cosiddetti portatori di idee innovatrici non ammettano che si possa discutere dei precitati criteri e che l’accettazione del progetto debba essere totale. Quindi, oserei dire una contraddizione poiché se si è portatori di un nuovo percorso fondato su criteri di assoluta democrazia è imprescindibile il confronto di varie visioni sul progetto medesimo.
E’ accaduto in passato ed accadrà ancora, che si predichi bene e si razzoli male nel senso che ci si presenta come portatori di principi democratici e in realtà non appena si arriva a gestire il potere ovvero non appena si arriva nella stanza dei bottoni tutti gli impegni assunti vanno nel dimenticatoio, attuando gli stessi sistemi gestionali dei precedenti amministratori.
Ciò denota una carenza di sensibilità e rispetto per chi apertamente e senza secondi fini manifesta la propria idea sulla realizzazione di quanto promesso, ma più ancora è l’arroganza a diventare l’attrice protagonista del confronto. Essa appartiene ad esseri presuntuosi, i quali frequentemente mascherano la loro indole e temendo il confronto con gli altri tendono ad elevare se stessi, facendo credere di “avere qualcosa in più degli altri”. Piuttosto che imparare dagli altri, o fare domande (cosa che vedono come segno di vulnerabilità), gli arroganti tendono a generalizzare e, basandosi sulle loro supposte esperienze di vita, vorrebbero imporre agli altri il loro punto di vista.
L’arrogante ha un disperato bisogno di apparire nel modo giusto. Se si prova a fare un piccolo commento non gradito, anche se solo leggermente provocatorio, l’arrogante diventerà furioso nei confronti del suo interlocutore. Questo accadrà ogni qual volta verrà messo in dubbio (anche non volendo) il suo aspetto, la sua intelligenza, la sua abilità atletica, o qualsiasi altra cosa legata all’immagine che vuol dare di se stesso. Spesso indossa una maschera perché deve nascondere il proprio punto debole e la propria paura. Il più delle volte ha bisogno di costruirsi un’impeccabile immagine per coprire la sofferenza interiore. Di arroganti il mondo ne è pieno, in tutti i campi non escluso quello sportivo.
E’ quell’atteggiamento che si basa sul famoso bias di conferma. Il bias di conferma è forse la più potente e diffusa delle trappole cognitive, cioè dei modi in cui ci inganniamo da soli. Il bias è ampiamente noto, non solo agli scienziati ma a chiunque si occupi di dinamiche della comunicazione, e perfino agli algoritmi che scelgono che cosa mostrarci su Facebook. Consiste nella propensione a cercare dichiarazioni e fatti che confermino le nostre opinioni pregresse e le nostre credenze, e a ignorare tutto il resto, non importa quanto evidente o convincente sia.
Chi non ama il confronto, invece di rispondere agli argomenti diversi, cerca di mettere a tacere chi li propone delegittimandone l’immagine, creando intorno al malcapitato “un barbarico processo alle intenzioni che cancella la discussione e si trasforma in una lugubre parodia di un tribunale del popolo”, nell’intimazione al silenzio fino all’autocensura. Sì perché poi nel gruppo ci si fa forza a vicenda riuscendo a porre nell’angolo e in isolamento la persona che ha tentato di illustrare un’idea diversa, magari anche avvalorata da dati oggettivi ma che lo stesso gruppo riuscirà, più o meno con la forza, a minare nella loro credibilità o a porli a margine della conversazione che si inasprirà inevitabilmente nei toni e nel linguaggio.
Ognuno di noi è libero di esprimersi nel modo che ritiene più opportuno però è il saper accettare critiche ed espressioni diverse che fanno di una persona il messaggero di nuove dottrine, immaginate sul rispetto e sulla libertà di espressione, senza che vengano additate come oppositrici di un progetto sulla cui condivisione non ci sarebbero dubbi.
Ezio RINALDI
Cosa diversa è la contrapposizione alla realizzazione di un piano politico, religioso o gestionale. Nel campo sportivo il dissenso si manifesta nella divergenza di attuazione o di gestione tecnico/politico, ovvero le forme di realizzazione di un programma. Con il dissenso non si manifesta una contrapposizione, semplicemente un modo di vedere diverso da altri.
Purtroppo è consuetudine dare al dissenso la veste di oppositore ad una certa linea, in realtà aderendo ad esempio ad un piano di rinnovamento impostato su concetti di assoluto rispetto per le opinioni altrui e, quindi, su presupposti di democrazia reale, si possono mettere in discussione le modalità attuative o, se volete, i criteri per la realizzazione del progetto ma non il progetto in se, che resta il perno intorno al quale dovrà girare la ruota.
Accade spesso e volentieri che i cosiddetti portatori di idee innovatrici non ammettano che si possa discutere dei precitati criteri e che l’accettazione del progetto debba essere totale. Quindi, oserei dire una contraddizione poiché se si è portatori di un nuovo percorso fondato su criteri di assoluta democrazia è imprescindibile il confronto di varie visioni sul progetto medesimo.
E’ accaduto in passato ed accadrà ancora, che si predichi bene e si razzoli male nel senso che ci si presenta come portatori di principi democratici e in realtà non appena si arriva a gestire il potere ovvero non appena si arriva nella stanza dei bottoni tutti gli impegni assunti vanno nel dimenticatoio, attuando gli stessi sistemi gestionali dei precedenti amministratori.
Ciò denota una carenza di sensibilità e rispetto per chi apertamente e senza secondi fini manifesta la propria idea sulla realizzazione di quanto promesso, ma più ancora è l’arroganza a diventare l’attrice protagonista del confronto. Essa appartiene ad esseri presuntuosi, i quali frequentemente mascherano la loro indole e temendo il confronto con gli altri tendono ad elevare se stessi, facendo credere di “avere qualcosa in più degli altri”. Piuttosto che imparare dagli altri, o fare domande (cosa che vedono come segno di vulnerabilità), gli arroganti tendono a generalizzare e, basandosi sulle loro supposte esperienze di vita, vorrebbero imporre agli altri il loro punto di vista.
L’arrogante ha un disperato bisogno di apparire nel modo giusto. Se si prova a fare un piccolo commento non gradito, anche se solo leggermente provocatorio, l’arrogante diventerà furioso nei confronti del suo interlocutore. Questo accadrà ogni qual volta verrà messo in dubbio (anche non volendo) il suo aspetto, la sua intelligenza, la sua abilità atletica, o qualsiasi altra cosa legata all’immagine che vuol dare di se stesso. Spesso indossa una maschera perché deve nascondere il proprio punto debole e la propria paura. Il più delle volte ha bisogno di costruirsi un’impeccabile immagine per coprire la sofferenza interiore. Di arroganti il mondo ne è pieno, in tutti i campi non escluso quello sportivo.
E’ quell’atteggiamento che si basa sul famoso bias di conferma. Il bias di conferma è forse la più potente e diffusa delle trappole cognitive, cioè dei modi in cui ci inganniamo da soli. Il bias è ampiamente noto, non solo agli scienziati ma a chiunque si occupi di dinamiche della comunicazione, e perfino agli algoritmi che scelgono che cosa mostrarci su Facebook. Consiste nella propensione a cercare dichiarazioni e fatti che confermino le nostre opinioni pregresse e le nostre credenze, e a ignorare tutto il resto, non importa quanto evidente o convincente sia.
Chi non ama il confronto, invece di rispondere agli argomenti diversi, cerca di mettere a tacere chi li propone delegittimandone l’immagine, creando intorno al malcapitato “un barbarico processo alle intenzioni che cancella la discussione e si trasforma in una lugubre parodia di un tribunale del popolo”, nell’intimazione al silenzio fino all’autocensura. Sì perché poi nel gruppo ci si fa forza a vicenda riuscendo a porre nell’angolo e in isolamento la persona che ha tentato di illustrare un’idea diversa, magari anche avvalorata da dati oggettivi ma che lo stesso gruppo riuscirà, più o meno con la forza, a minare nella loro credibilità o a porli a margine della conversazione che si inasprirà inevitabilmente nei toni e nel linguaggio.
Ognuno di noi è libero di esprimersi nel modo che ritiene più opportuno però è il saper accettare critiche ed espressioni diverse che fanno di una persona il messaggero di nuove dottrine, immaginate sul rispetto e sulla libertà di espressione, senza che vengano additate come oppositrici di un progetto sulla cui condivisione non ci sarebbero dubbi.
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