Si è conclusa la più grande
manifestazione sportiva del mondo. Sulla carta le aspettative erano parecchie,
ammettiamolo, ma nella realtà in molti casi i francesi hanno fatto flop.
È vero, l’olimpiade perfetta non esiste, ma Parigi aveva tutte le carte in regola per farcela, mentre abbiamo assistito a due appuntamenti costruiti in mondo davvero provinciale e un Thomas Bach a fine mandato, e che non si ricandiderà alla presidenza del CIO, in evidente difficoltà.
Il primo appuntamento, se così possiamo chiamarlo è stata la cerimonia inaugurale dell’olimpiade. Baciata eufemisticamente dalla pioggia e andata del tutto a gambe all’aria, compreso, indiscrezioni post quem, la mancata messa in onda di altri video oltre a quelli che lo spettatore ha visto in TV e che avrebbero fatto capire meglio la narrazione che era stata concepita. Una ridda di commenti e capi di stato e religiosi che si sono sentiti offesi dalla celebre messa in scena del baccanale e dalla sfilata LGBTQ della quale non vorrei più parlare per il resto della mia vita.
Tutto questo serviva a introdurre evidentemente gli atleti cosiddetti trans o intersessuali, la cui esistenza abbiamo scoperto a Parigi 2024, con tanto di conferenza stampa di Bach che diceva senza molti imbarazzi: “Come si fa a distinguere la sessualità di una persona? Non c’è un modo chiaro e indiscutibile.” La comunità scientifica dovrà chiarire una volta per tutte questo aspetto e forse questa ammissione di incapacità da parte del massimo esponente sportivo del mondo, servirà per fare regole chiare e condivise da e per tutti a tutela di un sesso come dell’altro, nel nome dell’uguaglianza, sia ben chiaro.
Le chiacchiere sulla Senna hanno poi tenuto banco per tutta la manifestazione. Tre anni fa a Tokyo non potevamo avvicinarci l’uno all’altro ed era obbligatoria una distanza di un metro e mezzo. A Parigi invece abbiamo visto che nuotare nemmeno tanto allegramente nella Senna, era più che possibile. Gli effetti collaterali su molti atleti (altro che medaglia d’oro! Bisognerebbe dargli un indennizzo monetario ben maggiore!) li abbiamo visti. Impietosi molti video di francesi stessi.
Meraviglioso però, e in questo Parigi è inarrivabile credo da quasi il 100% delle città del mondo, la cornice dei suoi monumenti. Il dressage e il pentathlon a Versailles, les Invalides per ciclismo e maratona, il Grand Palais per scherma e Tae kwon doo, splendide le piscine, rinnovate e create dal nuovo compresi i palasport sui quali le regìe televisive hanno indugiato abbastanza. Se lo avessero fatto avrebbero mostrato una classe di architetti che il mondo può benissimo invidiare e senza fare peccato. Una strana modestia, in rapporto alla cerimonia di apertura!
La medaglia poi è il fiore all’occhiello di questa olimpiade. Un oggetto che dire bello è del tutto restrittivo e forse anche ingiusto. Quella medaglia è di una bellezza inaspettata e ha fatto vedere che la Francia, quella tecnica, quella dei suoi designer e architetti, dei suoi urbanisti, dei suoi gioiellieri e famosissimi profumieri e couturier e artisti e musicisti è una Francia inimitabile, che è rimasta a lato, forse per mostrare al mondo che si sta muovendo in altre direzioni, pur conservando e difendendo il suo meraviglioso essere, quella classicità che la contraddistingue oltre ogni misura, che è un brand in sé, come lo Champagne, lo Chanel n°5, le Dior, la DS, e via dicendo in una lista che non avrebbe fine, ma che ci è venuta la voglia di conoscere e apprezzare di più di prima.
Il secondo appuntamento è il gala di fine olimpiade che ci aspettavamo scoppiettante, se non micidiale, come se fosse una revanche, rispetto al primo.
Ritmo basso, se non sciallo, con scenografia decostruttivista, non proprio francese, che sembrava uscita dalla matita di Daniel Libeskind, che non è proprio francese. Estenuante la sfilata degli atleti, per un’ora circa di déjà vu, che ha dato inizio alla meno probabile attività che si poteva proporre per un gala del genere, il karaoke, il tutto dopo che alle Tuilleries veniva raccolta la fiamma olimpica dal grande e giovanissimo Marchand mentre un coretto bello ed elegante cantava a cappella e in completa solitudine Sous le ciel de Paris, un classico di Edith Piaf che avrebbe meritato di più.
Una volta seduti lungo l’anello olimpico tutti gli atleti si sono goduti una modestissima coreografia di decine di ballerini e acrobati vestiti di grigio, i quali sul palco dello stesso colore ton sur ton, generava i cinque cerchi olimpici che venivano issati nel cielo dello stadio sotto gli occhi di un mimo che sembrava il figlio bello e dorato di Predator.
Dalle tribune intanto migliaia di luci bianche comandate a distanza disegnavano meravigliose silouettes, francesissima evoluzione di quelle che a Montmartre per pochi euro un qualsiasi artista di strada può farti. Peccato che sia durata poco, o forse collocata in modo maldestro.
A quel punto è cominciata la festa, i Phoenix hanno eseguito i loro migliori brani, coadiuvati da Angèle, che spezzava in francese la monotonia dell’imperversante stile inglese che dilaga ovunque. potentissimo il suo inimitabile fascino sensuale. Quando l’ho vista però mi sono chiesto perché non fosse vestita da Yves Saint Laurent o da John Galliano, ma era in una tutina nera che faceva molto esistenzialista e Audrey Hepburn in Funny face, non del tutto a caso.
Senza saper né leggere né scrivere avrei puntato più su Bob Sinclar e David Guetta, che sono solo i più celebri e pagati DJ del mondo, senza dimenticare Jean Michel Jarre, saltato a piè pari, ma che avrebbe introdotto al meglio Tom-Ethan Cruise-Hunt, che dal bordo della copertura dello Stade de France disegnato da Jean Nouvel, si lanciava sullo stadio con una fune, per agguantare la bandiera del CIO, salutare i presenti, su una motocicletta, mentre una splendida H.E.R si esibiva in un assolo con una Fender stratocaster bianca e volare a bordo di un C130.
Da quel punto è stato solo cinema. Abbiamo capito finalmente perché per venti giorni Snoop Dog ha imperversato nei campi gara battendo il Bigadier per terra a inizio competizione e ha fatto il simpatico clown con decine di sportivi americani, compreso un inaspettato selfie con il grande Albano. Doveva apparire nel concertino che, chissà quando, a Los Angeles era stato preparato in perfetto stile California beach party, assieme a Billie Eillish e i Red hot chili pepper. Una cool gang modesta per stile e per impatto, sullo sfondo dell’oceano che per una volta era piatto come a Riccione mare. Se penso a come si presentarono i giapponesi a Rio 2016, ho ancora i brividi, specie quando Shinzo Abe apparve dopo che un mega pulsantone nel centro dello stadio veniva premuto al ritmo del suono del videogame del baffuto Supermario.
Nazioni diverse, creativi diversi, tempi diversi, risultati diversi.
Resta però un po’ di amaro in bocca, per molte cose. Altro che amuse bouche e dessert. In questa olimpiade non si è vista molto la Francia, purtroppo, e molti si sono lamentati del cibo, poco proteico, e un po’ scialbo, anche nelle brasserie della città, che servivano hot-dog e waffle, alla faccia del Croque monsieur e della baguette jambon beurre, che forse gusteremo a Los Angeles.
A bientôt… o forse sarebbe meglio dire seeyou bye!
Fabrizio Orsini
È vero, l’olimpiade perfetta non esiste, ma Parigi aveva tutte le carte in regola per farcela, mentre abbiamo assistito a due appuntamenti costruiti in mondo davvero provinciale e un Thomas Bach a fine mandato, e che non si ricandiderà alla presidenza del CIO, in evidente difficoltà.
Il primo appuntamento, se così possiamo chiamarlo è stata la cerimonia inaugurale dell’olimpiade. Baciata eufemisticamente dalla pioggia e andata del tutto a gambe all’aria, compreso, indiscrezioni post quem, la mancata messa in onda di altri video oltre a quelli che lo spettatore ha visto in TV e che avrebbero fatto capire meglio la narrazione che era stata concepita. Una ridda di commenti e capi di stato e religiosi che si sono sentiti offesi dalla celebre messa in scena del baccanale e dalla sfilata LGBTQ della quale non vorrei più parlare per il resto della mia vita.
Tutto questo serviva a introdurre evidentemente gli atleti cosiddetti trans o intersessuali, la cui esistenza abbiamo scoperto a Parigi 2024, con tanto di conferenza stampa di Bach che diceva senza molti imbarazzi: “Come si fa a distinguere la sessualità di una persona? Non c’è un modo chiaro e indiscutibile.” La comunità scientifica dovrà chiarire una volta per tutte questo aspetto e forse questa ammissione di incapacità da parte del massimo esponente sportivo del mondo, servirà per fare regole chiare e condivise da e per tutti a tutela di un sesso come dell’altro, nel nome dell’uguaglianza, sia ben chiaro.
Le chiacchiere sulla Senna hanno poi tenuto banco per tutta la manifestazione. Tre anni fa a Tokyo non potevamo avvicinarci l’uno all’altro ed era obbligatoria una distanza di un metro e mezzo. A Parigi invece abbiamo visto che nuotare nemmeno tanto allegramente nella Senna, era più che possibile. Gli effetti collaterali su molti atleti (altro che medaglia d’oro! Bisognerebbe dargli un indennizzo monetario ben maggiore!) li abbiamo visti. Impietosi molti video di francesi stessi.
Meraviglioso però, e in questo Parigi è inarrivabile credo da quasi il 100% delle città del mondo, la cornice dei suoi monumenti. Il dressage e il pentathlon a Versailles, les Invalides per ciclismo e maratona, il Grand Palais per scherma e Tae kwon doo, splendide le piscine, rinnovate e create dal nuovo compresi i palasport sui quali le regìe televisive hanno indugiato abbastanza. Se lo avessero fatto avrebbero mostrato una classe di architetti che il mondo può benissimo invidiare e senza fare peccato. Una strana modestia, in rapporto alla cerimonia di apertura!
La medaglia poi è il fiore all’occhiello di questa olimpiade. Un oggetto che dire bello è del tutto restrittivo e forse anche ingiusto. Quella medaglia è di una bellezza inaspettata e ha fatto vedere che la Francia, quella tecnica, quella dei suoi designer e architetti, dei suoi urbanisti, dei suoi gioiellieri e famosissimi profumieri e couturier e artisti e musicisti è una Francia inimitabile, che è rimasta a lato, forse per mostrare al mondo che si sta muovendo in altre direzioni, pur conservando e difendendo il suo meraviglioso essere, quella classicità che la contraddistingue oltre ogni misura, che è un brand in sé, come lo Champagne, lo Chanel n°5, le Dior, la DS, e via dicendo in una lista che non avrebbe fine, ma che ci è venuta la voglia di conoscere e apprezzare di più di prima.
Il secondo appuntamento è il gala di fine olimpiade che ci aspettavamo scoppiettante, se non micidiale, come se fosse una revanche, rispetto al primo.
Ritmo basso, se non sciallo, con scenografia decostruttivista, non proprio francese, che sembrava uscita dalla matita di Daniel Libeskind, che non è proprio francese. Estenuante la sfilata degli atleti, per un’ora circa di déjà vu, che ha dato inizio alla meno probabile attività che si poteva proporre per un gala del genere, il karaoke, il tutto dopo che alle Tuilleries veniva raccolta la fiamma olimpica dal grande e giovanissimo Marchand mentre un coretto bello ed elegante cantava a cappella e in completa solitudine Sous le ciel de Paris, un classico di Edith Piaf che avrebbe meritato di più.
Una volta seduti lungo l’anello olimpico tutti gli atleti si sono goduti una modestissima coreografia di decine di ballerini e acrobati vestiti di grigio, i quali sul palco dello stesso colore ton sur ton, generava i cinque cerchi olimpici che venivano issati nel cielo dello stadio sotto gli occhi di un mimo che sembrava il figlio bello e dorato di Predator.
Dalle tribune intanto migliaia di luci bianche comandate a distanza disegnavano meravigliose silouettes, francesissima evoluzione di quelle che a Montmartre per pochi euro un qualsiasi artista di strada può farti. Peccato che sia durata poco, o forse collocata in modo maldestro.
A quel punto è cominciata la festa, i Phoenix hanno eseguito i loro migliori brani, coadiuvati da Angèle, che spezzava in francese la monotonia dell’imperversante stile inglese che dilaga ovunque. potentissimo il suo inimitabile fascino sensuale. Quando l’ho vista però mi sono chiesto perché non fosse vestita da Yves Saint Laurent o da John Galliano, ma era in una tutina nera che faceva molto esistenzialista e Audrey Hepburn in Funny face, non del tutto a caso.
Senza saper né leggere né scrivere avrei puntato più su Bob Sinclar e David Guetta, che sono solo i più celebri e pagati DJ del mondo, senza dimenticare Jean Michel Jarre, saltato a piè pari, ma che avrebbe introdotto al meglio Tom-Ethan Cruise-Hunt, che dal bordo della copertura dello Stade de France disegnato da Jean Nouvel, si lanciava sullo stadio con una fune, per agguantare la bandiera del CIO, salutare i presenti, su una motocicletta, mentre una splendida H.E.R si esibiva in un assolo con una Fender stratocaster bianca e volare a bordo di un C130.
Da quel punto è stato solo cinema. Abbiamo capito finalmente perché per venti giorni Snoop Dog ha imperversato nei campi gara battendo il Bigadier per terra a inizio competizione e ha fatto il simpatico clown con decine di sportivi americani, compreso un inaspettato selfie con il grande Albano. Doveva apparire nel concertino che, chissà quando, a Los Angeles era stato preparato in perfetto stile California beach party, assieme a Billie Eillish e i Red hot chili pepper. Una cool gang modesta per stile e per impatto, sullo sfondo dell’oceano che per una volta era piatto come a Riccione mare. Se penso a come si presentarono i giapponesi a Rio 2016, ho ancora i brividi, specie quando Shinzo Abe apparve dopo che un mega pulsantone nel centro dello stadio veniva premuto al ritmo del suono del videogame del baffuto Supermario.
Nazioni diverse, creativi diversi, tempi diversi, risultati diversi.
Resta però un po’ di amaro in bocca, per molte cose. Altro che amuse bouche e dessert. In questa olimpiade non si è vista molto la Francia, purtroppo, e molti si sono lamentati del cibo, poco proteico, e un po’ scialbo, anche nelle brasserie della città, che servivano hot-dog e waffle, alla faccia del Croque monsieur e della baguette jambon beurre, che forse gusteremo a Los Angeles.
A bientôt… o forse sarebbe meglio dire seeyou bye!
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