Affrontare il tema dei gruppi sportivi in divisa non è semplice, in particolar modo poi quando si rende necessario parlare dei loro atleti e tecnici.
Intanto sgombriamo il campo da equivoci interpretativi, senza la loro
esistenza lo sport italiano non avrebbe la possibilità di competere a livello
internazionale e non potrebbe occupare posizioni di assoluto prestigio nel
panorama mondiale.
Dopo la caduta del muro di Berlino e la conseguente disgregazione
dell’Unione sovietica è venuto meno lo sport di Stato d’oltre cortina. Questa
situazione ha portato l’Italia ad un progressivo avanzamento nella classifica
mondiale delle nazioni più forti, poiché ha mantenuto in vita lo sport minore
al livello professionistico. Credo che di questo status ne beneficino un po’
tutti: le FF.AA; gli atleti che possono svolgere la loro attività con
l’ombrello dello Stato che garantisce loro un reddito con il quale possono
vivere senza problemi; i club civili che possono indicare una via sicura ai
loro atleti più dotati. Naturalmente c’è sempre un rovescio della medaglia,
cioè qualcosa in opposizione ai privilegi anzidetti.
L’organizzazione ed i
ritmi della vita dei gruppi sportivi in divisa sono disciplinati da leggi e
regolamenti, per cui una loro ristrutturazione andrebbe armonizzata con una
revisione di leggi e, conseguentemente, di regolamenti che ne consentono
l’esistenza. Non voglio addentrarmi più di tanto su questioni attinenti ad una
loro riforma: non mi compete. Posso portare la mia esperienza di ex ufficiale
dell’E.I. operante presso il Centro sportivo olimpico dell’Esercito ed in tale
contesto ritengo di poter assicurare i lettori circa gli obiettivi e le loro
finalità.
Il Decreto del
Presidente della Repubblica n. 113 del 19 aprile 2005 stabilisce i compiti e
finalità di ognuno di loro. Sono riconosciuti dal CONI e con esso statuiscono
convenzioni con le quali disciplinano le loro collaborazioni. Nell’ambito di
dette cooperazioni, così come previsto dalle normative in vigore, il personale
militare può essere impiegato per vari incarichi attinenti alle loro funzioni,
mansioni e competenze specifiche. Quindi possono partecipare ad elezioni
per rappresentare nel CONI e nelle Federazioni la categoria di appartenenza;
possono essere destinati ad incarichi tecnici con un distacco concordato con il
Centro Sportivo di appartenenza. Il personale militare e paramilitare ha tra le
proprie prerogative il possesso di doti
quali la lealtà, la franchezza e la sincerità oltre ad un altissimo profilo
morale ed etico.
Tutta questa premessa per arrivare dove? E’ presto detto. Come arcinoto a breve ci saranno le elezioni per i grandi elettori i quali dovranno poi eleggere i loro rappresentanti nel Consiglio federale, tra questi ci sono anche rappresentanti dei gruppi sportivi in divisa e fin qui nulla di anomalo. Ciò che stride e si discosta dalle suddette prerogative, mettendo in ombra soprattutto il senso della moralità e dell’etica, che qualcuno sembrerebbe avere smarrito, è la condotta di alcuni di essi, ed in particolare quella di coloro i quali, una volta assunta una carica, sia elettiva che di nomina, tendono ad accumulare affidi incompatibili tra loro. Ma ciò che contrasta ancor più è l’atteggiamento supponente, borioso e sopra le righe di costoro e per il quale si sentono autorizzati a svolgere un inopportuno ruolo attivo in campagna elettorale. Mi spiego meglio. Oggi la FIS ha 3 CT appartenenti ai predetti gruppi, stipendiati dall’ente di appartenenza e lautamente retribuiti dalla Federazione, due dei quali, dimentichi delle doti e prerogative loro richieste, scrivono post e commenti sulle varie piattaforme online, spendendosi in maniera assolutamente inopportuna a favore di un candidato facente parte dell’attuale establishment federale, non solo, scrivono anche lettere alle società (nella passata tornata elettorale lo ha fatto il CT della spada) per caldeggiarne l’elezione. In buona sostanza, il Consiglio federale utilizza, in modo imbarazzante, il personale che ha sotto contratto per condurre la propria campagna elettorale. Dirò di più, questi signori se vogliono essere attori in una competizione elettiva è nel loro diritto ma dovrebbero avere il buon gusto di dimettersi, così come se eletti in rappresentanza di una categoria. E’ contro ogni principio di indipendenza, distacco, serenità di giudizio, terzietà e garanzia sedere in un consiglio e decidere la propria convocazione o l’inserimento nello staff tecnico, ed essere così in una chiara, lampante, manifesta ed evidente situazione di incompatibilità e di forte conflitto di interesse.
Come ho sempre
affermato il pesce puzza dalla testa, ovvero se c’è qualcuno che opera in palese contraddizione a quei
principi cui facevo riferimento sopra, la colpa non è la loro ma di chi glielo
permette.
Al fine di una chiara
e trasparente gestione delle
risorse umane militari e paramilitari, agli elettori è demandata la responsabilità delle scelte, di quelle scelte
cioè che davvero potranno garantire un serio governo ed una responsabile conduzione del settore tecnico e non solo.
Ezio RINALDI
Meditate, gente, meditate.
RispondiEliminaCordialmente.
Gaspare Fardella