Che sia di
attualità l'argomento degli abusi sessuali nel mondo dello sport lo
testimonia, oltre al libro di Daniela SImonetti "Impunità di gregge",
anche il docufilm "Atleta A" uscito su Netflix in Italia a luglio
2020. L'autrice del libro dice infatti: "È un
problema che esiste da sempre; tuttavia si è aggravato non appena il Coni nel
2014 è riuscito a far esentare i collaboratori sportivi dall’obbligo di
presentare i cosiddetti certificati anti-pedofilia. Il fatto che oggi persino
un tossicodipendente arrestato in flagranza di reato con precedenti penali,
possa continuare indisturbato a rivestire il suo ruolo di istruttore equestre,
è inconcepibile." Atleta A è una storia dura, truce e per stomaci forti, ma è una
storia da vedere e ascoltare se non altro per il coraggio che le ragazze
coinvolte hanno avuto nell’uscire allo scoperto e rivelare alcuni particolari
scabrosi della loro vita, prima in una corte e poi davanti alle telecamere.
Tutto nasce dalla testimonianza di Maggie
Nichols nel 2015, raccolta in forma anonima, come Atleta A appunto, dal
giornale IndyStar di
Indianapolis che inizia a investigare su una serie di abusi sessuali avvenuti
all’interno di numerose società di ginnastica in tutti gli Stati Uniti. La
stessa Nichols pagò l’aver denunciato alla USA Gymnastics gli abusi subiti con l’esclusione
dalla squadra nazionale per le Olimpiadi di Rio 2016 nonostante si fosse ben
posizionata ai trials. Ovviamente lascio approfondire tutto con la visione del
film. Nell’avvincente ricostruzione si fa luce su un intero mondo, quello
della ginnastica, dove le vittime predilette sono le giovanissime atlete che
oltre che fisicamente vengono anche manipolate psicologicamente. “Amiamo i vincitori in questo paese. E
scarifichiamo i nostri giovani per vincere”, dice una delle ex
atlete, ma fino a che punto ci possiamo spingere? E’ una analisi spietata
quella che emerge dal film che, oltre a insistere sui modi illeciti del medico
Nassar nel curare i numerosi acciacchi fisici alle atlete con manipolazioni del
tutto illegali sul corpo inerme di minorenni, si concentra sul mondo di uno
sport radicalmente cambiato con le Olimpiadi del 1976 quando una solo
quattordicenne Nadia Comaneci vinse
Luca GIOVANGIACOMO
Luca GIOVANGIACOMO
Grande risonanza hanno avuto i due articoli a firma di Giancarlo Toràn e Luca Giovangiacomo, i quali hanno trattato rispettivamente gli abusi sui minori e gli abusi sessuali, in particolare sulle donne, nel mondo dello sport.
RispondiEliminaLa cronaca quotidianamente riporta notizie sugli abusi che soggetti più deboli sono costretti a subire e tutti ci mostriamo angosciati per il continuo perpetrarsi di simili turpitudini, ma quali reali iniziative assumiamo in presenza di simili atti? La Federazione Italiana Scherma ha assunto qualche iniziativa in tal senso, senz’altro positiva, ma mi piacerebbe che facesse di più, molto di più, perché i reati sessuali sono ingiustificabili e vanno sradicati da tutti i contesti nei quali si opera. Combattere lo sfruttamento e gli abusi sessuali, gli abusi contro le persone che serviamo, nonché le molestie sessuali sul posto di lavoro è una priorità assoluta.
Il mostro o, se volete, l’orco, che commette tali atti arreca danni irreparabili alle vittime ed alle loro famiglie e per questo si devono intraprendere azioni ferme e decise per rafforzare i meccanismi di prevenzione, di controllo e di risposta allo sfruttamento, alle molestie e agli abusi sessuali. In tale quadro non sono ammissibili tentennamenti, non ci possono essere né se né ma. E’ anche vero che in alcune occasioni si è sbattuto il mostro in prima pagina, condannandolo prima ancora di un regolare processo, al termine del quale il cosiddetto ”mostro” è risultato innocente e nessuno gli ha chiesto scusa.
Dove voglio arrivare, semplice: sono dalla parte di chi denuncia, di chi subisce ma non condanno nessuno fino alla emissione di un verdetto che vada oltre ogni ragionevole dubbio.
Ciò che per me è assolutamente incomprensibile sono gli interventi tesi a tacitare chiunque abbia il coraggio di denunciare, che sia la vittima o il giornalista. Capisco l’angoscia e la pena dei familiari degli accusati e, quindi, i loro interventi tesi a salvaguardare i propri cari li giustifico. Non posso giustificare chi è terzo e si permette di intervenire al fine di ridurre al silenzio i denuncianti. Questa, qualora attestata la colpevolezza, la ritengo complicità e la condanna per costoro deve essere pari a quella per l’imputato.