23 settembre 2021

MENTAL COACH: competenze ed obiettivi

Da appassionato di scherma, che seguo assiduamente, ed interessato alla psicologia dello sport, mi sono imbattuto seguendo le gare di Tokio nella seguente, e molto significativa, foto, pubblicata nel sito (?) della Federazione Italiana Scherma, forse passata inosservata ai più
Pur ammettendo, in piena sincerità, la mia più assoluta “incompetenza” in materia di linguaggio del corpo e di interpretazione dell’immagine, questo ritratto fotografico appare come una chiara e concreta prova dell’assoluta mancanza di “feeling” tra i due protagonisti ivi immortalati, potendosi facilmente desumere ciò: dall’evidente distanza, anche emotiva, tra i due (totale assenza di pathos); dalla lontananza fisica tra gli stessi, non dovuta  – a mio parere – al COVID; dal distacco visivo, e perso nel vuoto, dell’atleta verso chi le parla; dall’atteggiamento poco ricettivo della schermitrice; dalla fredda ed inane postura assunta dall’altro soggetto, che parrebbe non in grado di suscitare stimoli ed emozioni e che qualcuno – non so bene chi – affermerebbe essere il “mental coach” della spada.
Ora, non voglio parlare – non sono in grado – del professionista che affianca la squadra - che peraltro mi dicono essere un medico-psichiatra -, non lo conosco, ma sono certamente sicuro che è competente, serio, esperto e capace, ciò su cui vorrei parlare e riflettere, aprendo possibilmente un dibattito/confronto fra i lettori e - perché no – con la stessa FIS, riguarda semplicemente la “figura”, in sé e per sé, del mental coach.
Apprendendo dall’ambiente sportivo che questo “titolo”, privo di qualsiasi valore culturale e professionale, e forse anche giuridico, viene spesso conseguito dopo corsi di discutibile approfondimento, sorgono spontanee alcune domande da rivolgere sia ai lettori, sia soprattutto alla Federazione, che sembra assegnare questi incarichi a simpatia, senza verificare il possesso delle competenze richieste. Come non ricordare, infatti e a tal riguardo, la triste ed infelice circostanza che, prima di Rio, la squadra di spada femminile fu affidata a colui il quale, nel suo ruolo di “mental coach”, ebbe la grande capacità di riuscire nel difficile compito di perdere la qualificazione, pur partendo da una eccellente posizione di classifica.
Detto questo, passo alle domande:
Qual è il ruolo del MC? Perché è stato creato e quali sono gli obiettivi strategici che la FIS si prefigge di raggiungere grazie alla introduzione del MC?.
Quali sono gli interventi professionali messi in atto dal MC, incaricato di un compito così importante e delicato come seguire a fondo pedana un’atleta olimpica? Ma è giusto che il MC stia a fondo pedana? Non sarebbe più giusto che lui svolgesse il suo compito prima ed altrove? Non potrebbe intervenire negli intervalli tra gli assalti, ma solo dopo che l’atleta abbia parlato col proprio maestro sulle questioni tecniche?
Sarebbe interessante avere un rendiconto dettagliato degli interventi effettuati, con indicazione precisa per ciascuno:
- degli obiettivi da raggiungere;
- della metodologia utilizzata;
- degli strumenti utilizzati;
- della valutazione dei risultati ottenuti, possibilmente supportata da dati;
- della valutazione dei benefici dell’intervento alla luce dei risultati ottenuti.
Ed ancora, sarebbe interessante sapere se esistono rapporti ufficiali che il MC (anche l’attuale, visto il suo lungo impegno nel tempo) è tenuto a produrre, al fine di dimostrare, in modo trasparente, il lavoro fatto.
La conoscenza e la diffusione di tali rapporti potrebbe essere di arricchimento per tutto l’ambiente e in particolare per quei maestri che, facendo anche lezioni ai propri atleti, potrebbero usufruire di un quadro applicativo più ricco.
Antonio MORANDI

2 commenti:

  1. Il mio intervento non è finalizzato a prendere una posizione nel dibattito sul Mental Coach, quanto a evitare che una fotografia che mi ritrae induca, chi la guarda, a trarre delle errate conclusioni che sminuiscano la figura di una persona a me molto cara.
    Sovente le parole vengono mal interpretate e non riescono pertanto ad esprimere correttamente il pensiero di una persona, a maggior ragione ritengo che, cercare di ricostruire il rapporto tra due individui attraverso l’interpretazione di una fotografia, possa portare, come nel caso specifico, ad un errore di valutazione.
    Lavoro con Gigi Mazzone da quando sono piccola e tra noi si è instaurato un legame umano molto profondo che va ben al di là del rapporto professionale che si instaura tra atleta e medico
    Ormai da molti anni, sono solita programmare con Gigi gli obbiettivi della stagione agonistica. Attraverso il sistematico lavoro svolto con lui, sono riuscita, in questi anni, a conseguire molti degli obbiettivi che ci eravamo posti e per questo motivo gli sono veramente grata.
    Nel 2019 iniziammo a lavorare sull’obbiettivo delle Olimpiadi di Tokyo. Il primo passo era la qualifica e la conseguente convocazione ed il secondo era arrivare competitiva all’appuntamento più importante nella vita di un atleta. È stato fatto un lavoro tecnico, fisico e psicologico veramente accurato per cercare arrivare a Tokyo nel miglior stato di forma.
    Come è noto a tutti, alle olimpiadi, sia nella competizione individuale che in quella a squadre, gli accoppiamenti dell’eliminazione diretta dipendendo dal ranking iniziale e quindi sono noti già molti giorni prima dell’inizio della gara. Quindi a livello tecnico, con lo staff della nazionale, avevamo avuto la possibilità, nei giorni che precedevano la gara, di preparare nel dettaglio gli assalti che avrei dovuto affrontare. Dato che ero tra le più giovani in gara e si trattava della mia prima Olimpiadi, c’era una preoccupazione fondata che la pressione psicologica potesse giocare un ruolo decisivo, soprattutto in considerazione che le mie avversarie avevano tutte una notevole esperienza in competizioni di quest’importanza. Considerato che Gigi lavora con me da moltissimi anni e mi conosce molto bene sia a livello mentale che tecnico, il Commissario Tecnico, con il mio pieno avvallo, decise di mettere lui a fondo pedana. Si consideri che Gigi Mazzone oltre ad essere medico è maestro di scherma nonché fu atleta di alto livello e per questo è in grado di gestire anche gli aspetti di carattere tecnico.
    Se si fa mente locale alla mia gara individuale delle Olimpiadi, ci si rende conto che fu sicuramente una scelta corretta. Nelle prime fasi dell’incontro con la Besbes, in una situazione di estremo equilibrio, mi fu assegnata contro una stoccata inesistente, provocata da un cattivo funzionamento del Wireless. In un simile frangente il nervosismo avrebbe potuto giocare un ruolo decisivo e capovolgere l’esito dell’incontro. Fu Gigi, a fondo pedana, che mi aiutò a gestire psicologicamente la situazione. Analogamente nel secondo incontro con la Lin, per quanto sapessi esattamente cosa fare, iniziai malamente l’assalto andando in svantaggio tre a zero. Anche in questo caso, nel minuto di pausa, riuscii a recuperare le giuste motivazioni mentali grazie al supporto di Gigi.
    Per quanto riguarda il mantenimento della maschera in testa durante il minuto di pausa, per quanto insolito, preciso che si tratta di atteggiamento per me abituale, che utilizzo sovente nelle gare importanti per mantenere la concentrazione. Chi mi conosce lo può confermare. L’atteggiamento ritratto nella fotografia è pertanto assolutamente ingannevole in quanto non voleva in alcun modo rappresentare un atteggiamento strafottente o irrispettoso verso chi mi seguiva a fondo pedana.
    Spero che le mie spiegazioni servano inquadrare nella giusta prospettiva quanto accaduto durante la gara.

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  2. Giungono commenti solidarizzanti con Federica Isola: perché non firmarli?

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