22 marzo 2014

CODICE ETICO: censura alla libera manifestazione del pensiero?


Gent.mo sig. Rinaldi, lo scorso 5 marzo è stato promulgato il Codice etico Fis con vigore dalla data della pubblicazione. Ho notato con piacere che il fatto non è passato sotto silenzio. I post sul suo blog e, soprattutto, il contatore degli accessi, dimostrano che si tratta di una questione che sta molto a cuore al "popolo della scherma". Anche io, per parte mia, l'ho letto con molto interesse e, devo confessarle, ne sono rimasta, a dire poco delusa.
Infatti, malgrado la finalità dichiarata nell’art. 2, non mi sembra affatto che il Codice esprima quali siano i valori di riferimento della Fis, e gli impegni e le responsabilità etiche nella conduzione delle attività connesse alla vita federale, sia in ambito strettamente sportivo che sociale, così come un codice etico dovrebbe fare.
Al contrario, esso si riduce ad uno stringato corpo regolamentare, volto ad integrare, quanto alla previsione delle infrazioni, il vigente Regolamento di giustizia, senza peraltro innovare granché.
Il codice contiene un numero assai limitato di disposizioni, sostanzialmente ricalcanti quelle già contenute nel Codice di comportamento sportivo Coni e nel già citato Regolamento di giustizia Fis.
Qualche punto di novità sembrerebbe trovarsi soltanto nelle disposizioni di cui agli artt. 8 e 9; e qui il condizionale è d’obbligo, perché a mio sommesso parere, l’unica lettura di queste norme che sia coerente con la normativa vigente esclude, anche in questo caso, ogni elemento di novità.
Mi spiego meglio.
Sia l’art. 7 del Codice di comportamento sportivo Coni che gli artt. 2, comma 2, e 32 del Regolamento di giustizia attribuiscono rilievo disciplinare all’espressione pubblica di giudizi o rilievi lesivi dell’immagine, della reputazione del decoro e della dignità di altri soggetti che operano in ambito sportivo, siano essi semplici tesserati, organi federali, o la Federazione nel suo complesso.
Giacché le dichiarazioni rilasciate a organi di stampa, così come quelle pubblicate su media e social network, sono per definizione pubbliche, le puntualizzazioni di cui agli artt. 8 e 9 del codice etico appaiono, allora, inutilmente superflue, a meno di non volergli attribuire un significato diverso o più ampio rispetto a quello già esplicitato dal codice Coni e dal Regolamento.
L’art. 8 precisa che i tesserati e tutti coloro che operano all’interno della FIS devono astenersi dal rilasciare dichiarazioni o comunicati che possano in qualsiasi modo ledere l’immagine della FIS e/o dei suoi organi e/o di altri tesserati e/o affiliati e/o dei soggetti di cui all’art. 2.
Orbene, comparando tutte le norme sin qui citate, il punto di differenza si esaurisce nella locuzione “che possano in qualsiasi modo ledere l’immagine”. Espressione questa, che parrebbe adombrare l’anticipazione della soglia di tutela dell’immagine e della reputazione della Fis al mero rischio di lesione e una sua salvaguardia oltre il limite del danno ingiusto.
Per dirla più chiaramente, un’interpretazione letterale della norma sembrerebbe suggerire che in ambito federale è stato abrogato il diritto di critica. Posto, infatti, che qualunque critica è idonea a incidere in qualche modo in senso negativo sull’immagine  e sulla reputazione di qualcuno, la mera espressione di un’opinione contraria all’operato Fis basterebbe  ad integrare l’infrazione di cui all’art. 8 codice etico.
Ma ciò significherebbe negare il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero se non nel caso in cui  esso consista in approvazioni all’operato della Fis e non in critiche.
E questo la Federazione non può farlo.
Credo che oramai tutti sappiano che il diritto alla libera manifestazione del pensiero è un diritto inviolabile, costituzionalmente garantito, e che il diritto di critica può essere esercitato utilizzando espressioni di qualsiasi tipo anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o dal comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato.
E credo anche che tutti sappiano che le Federazioni sportive, che hanno natura giuridica di diritto privato, sono, come tutti, soggette al rispetto delle leggi di questo paese, prima tra tutte la Costituzione.
Non posso, per conseguenza, ritenere che la Commissione statuto e Regolamenti abbia inteso redigere una norma illegittima.
Non credo, infatti, (o almeno lo voglio sperare), che la Federazione, in persona del suo presidente, abbia inteso introdurre con queste disposizioni un limite alla libertà di manifestazione del pensiero dei propri associati.
Sarebbe stato un atto di tale arroganza e, al contempo, di tale debolezza che, sono fermamente convinta, nessuno avrebbe mai potuto avere l'intenzione e la dabbenaggine di compiere.
Probabilmente chi ha redatto la norma e chi poi l'ha promulgata è persona talmente in buona fede da non sospettare neppure il significato illegittimo ed eversivo che essa appare avere.
Sono quindi fermamente convinta che questa stessa buona fede eviterà a chiunque di cadere nella tentazione di irrogare sanzioni disciplinari a colui che, legittimamente secondo i canoni dell'ordinamento italiano, esprima pubblicamente critiche sull'operato federale.
Se così non fosse, v'è comunque rimedio.
In primo luogo, ogni associato potrà impugnare (e lo può sin d'ora) la deliberazione del Consiglio che ha approvato il Codice etico dinanzi all’autorità giudiziaria competente e, ove gli fosse comminata una sanzione disciplinare, potrà chiedere la condanna della Federazione al risarcimento del danno.
Vale, infatti, la pena di ricordare da un lato che "l’obbligo assunto dagli associati di adire gli organi della giustizia sportiva non può riguardare in nessun caso i diritti inviolabili dell’uomo, che debbono essere direttamente tutelati dall’ordinamento statale anche all’interno delle formazioni sociali e non possono costituire oggetto di accordi tra gli associati".
 E dall’altro che secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2, commi 1, lett. b), e 2, del D.L. 19 agosto 2003, n. 220 in materia di giustizia sportiva, suffragata di recente dalla Corte costituzionale, "il giudice amministrativo può conoscere delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni ed atleti, in via incidentale ed indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria avanzata dal destinatario della sanzione". E su questo punto la giurisprudenza è unanime nel ricondurre l'esistenza del danno alla mera irrogazione della sanzione disciplinare
Tornando, quindi, alla mia riflessione iniziale, questo Codice, poco etico e apparentemente bulgaro, null’altro sembra essere se non un mero esercizio di stile, neppure troppo riuscito.
Sia per le infelici scelte lessicali che rendono incomprensibili precetto e ratio di talune disposizioni (artt. 12 e13), sia per l'arbitraria intromissione in questioni che nulla hanno a che fare con l'etica, e che dovrebbero essere lasciate alla libera disponibilità dei titolari dei diritti coinvolti (artt. 10 e 11), questo corpo percettivo impropriamente denominato codice etico, mi sembra soltanto l'ennesima occasione mancata.
Paola Puglisi

1 commento:

  1. Egr. avv.
    La ringrazio per il contributo chiarificatore circa i contenuti del Codice etico. Personalmente non mi sono addentrato nei meandri delle disquisizioni legali inerenti tale disposto, poiché mi mancano gli strumenti necessari per valutalo, ovvero la conoscenza della giurisprudenza: nel leggerlo mi sono meravigliato di quanto in esso pronunciato. Ho atteso che ci fossero interventi qualificati che potessero chiarire la validità di tale codice. Credo che Lei abbia espresso con competenza e precisione un pensiero illuminante circa l’ obiettivo del dispositivo emanato dalla F.I.S..
    Ritengo che altre categorie avrebbero potuto e dovuto esprimersi sull’argomento: per la verità lo hanno fatto, ma poi sono tornate indietro.
    Grazie ancora per il Suo apporto
    Ezio RINALDI

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