Gent.mo sig.
Rinaldi, lo scorso 5 marzo è stato promulgato il Codice etico Fis con vigore
dalla data della pubblicazione. Ho notato con piacere che il fatto non è
passato sotto silenzio. I post sul suo blog e, soprattutto, il contatore degli
accessi, dimostrano che si tratta di una questione che sta molto a cuore al
"popolo della scherma". Anche io, per parte mia, l'ho letto con molto
interesse e, devo confessarle, ne sono rimasta, a dire poco delusa.
Infatti,
malgrado la finalità dichiarata nell’art. 2, non mi sembra affatto che il
Codice esprima quali siano i valori di riferimento della Fis, e gli impegni e
le responsabilità etiche nella conduzione delle attività connesse alla vita
federale, sia in ambito strettamente sportivo che sociale, così come un codice
etico dovrebbe fare.
Al contrario,
esso si riduce ad uno stringato corpo regolamentare, volto ad integrare, quanto
alla previsione delle infrazioni, il vigente Regolamento di giustizia, senza
peraltro innovare granché.
Il codice
contiene un numero assai limitato di disposizioni, sostanzialmente ricalcanti
quelle già contenute nel Codice di comportamento sportivo Coni e nel già citato
Regolamento di giustizia Fis.
Qualche punto
di novità sembrerebbe trovarsi soltanto nelle disposizioni di cui agli artt. 8
e 9; e qui il condizionale è d’obbligo, perché a mio sommesso parere, l’unica
lettura di queste norme che sia coerente con la normativa vigente esclude,
anche in questo caso, ogni elemento di novità.
Mi spiego
meglio.
Sia l’art. 7
del Codice di comportamento sportivo Coni che gli artt. 2, comma 2, e 32 del
Regolamento di giustizia attribuiscono rilievo disciplinare all’espressione
pubblica di giudizi o rilievi lesivi dell’immagine, della reputazione del
decoro e della dignità di altri soggetti che operano in ambito sportivo, siano
essi semplici tesserati, organi federali, o la Federazione nel suo complesso.
Giacché le
dichiarazioni rilasciate a organi di stampa, così come quelle pubblicate su
media e social network, sono per definizione pubbliche, le puntualizzazioni di
cui agli artt. 8 e 9 del codice etico appaiono, allora, inutilmente superflue,
a meno di non volergli attribuire un significato diverso o più ampio rispetto a
quello già esplicitato dal codice Coni e dal Regolamento.
L’art. 8
precisa che i tesserati e tutti coloro che operano all’interno della FIS devono astenersi dal rilasciare
dichiarazioni o comunicati che possano in qualsiasi modo ledere l’immagine
della FIS e/o dei suoi organi e/o di altri tesserati e/o affiliati e/o dei
soggetti di cui all’art. 2.
Orbene,
comparando tutte le norme sin qui citate, il punto di differenza si esaurisce
nella locuzione “che possano in qualsiasi
modo ledere l’immagine”. Espressione questa, che parrebbe adombrare
l’anticipazione della soglia di tutela dell’immagine e della reputazione della
Fis al mero rischio di lesione e una sua salvaguardia oltre il limite del danno
ingiusto.
Per dirla più
chiaramente, un’interpretazione letterale della norma sembrerebbe suggerire che
in ambito federale è stato abrogato il diritto di critica. Posto, infatti, che
qualunque critica è idonea a incidere in qualche modo in senso negativo
sull’immagine e sulla reputazione di
qualcuno, la mera espressione di un’opinione contraria all’operato Fis
basterebbe ad integrare l’infrazione di
cui all’art. 8 codice etico.
Ma ciò
significherebbe negare il diritto di manifestare liberamente il proprio
pensiero se non nel caso in cui esso
consista in approvazioni all’operato della Fis e non in critiche.
E questo la
Federazione non può farlo.
Credo che
oramai tutti sappiano che il diritto alla libera manifestazione del pensiero è
un diritto inviolabile, costituzionalmente garantito, e che il diritto di
critica può essere esercitato utilizzando espressioni di qualsiasi tipo anche
lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla
manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o dal comportamento preso
di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore
e della reputazione del soggetto interessato.
E credo anche
che tutti sappiano che le Federazioni sportive, che hanno natura giuridica di
diritto privato, sono, come tutti, soggette al rispetto delle leggi di questo
paese, prima tra tutte la Costituzione.
Non posso, per
conseguenza, ritenere che la Commissione statuto e Regolamenti abbia inteso
redigere una norma illegittima.
Non credo,
infatti, (o almeno lo voglio sperare), che la Federazione, in persona del suo
presidente, abbia inteso introdurre con queste disposizioni un limite alla
libertà di manifestazione del pensiero dei propri associati.
Sarebbe stato
un atto di tale arroganza e, al contempo, di tale debolezza che, sono
fermamente convinta, nessuno avrebbe mai potuto avere l'intenzione e la
dabbenaggine di compiere.
Probabilmente
chi ha redatto la norma e chi poi l'ha promulgata è persona talmente in buona
fede da non sospettare neppure il significato illegittimo ed eversivo che essa
appare avere.
Sono quindi
fermamente convinta che questa stessa buona fede eviterà a chiunque di cadere
nella tentazione di irrogare sanzioni disciplinari a colui che, legittimamente
secondo i canoni dell'ordinamento italiano, esprima pubblicamente critiche
sull'operato federale.
Se così non
fosse, v'è comunque rimedio.
In primo
luogo, ogni associato potrà impugnare (e lo può sin d'ora) la deliberazione del
Consiglio che ha approvato il Codice etico dinanzi all’autorità giudiziaria
competente e, ove gli fosse comminata una sanzione disciplinare, potrà chiedere
la condanna della Federazione al risarcimento del danno.
Vale, infatti,
la pena di ricordare da un lato che "l’obbligo assunto dagli associati di
adire gli organi della giustizia sportiva non può riguardare in nessun caso i
diritti inviolabili dell’uomo, che debbono essere direttamente tutelati
dall’ordinamento statale anche all’interno delle formazioni sociali e non
possono costituire oggetto di accordi tra gli associati".
E dall’altro che secondo l’interpretazione
costituzionalmente orientata dell’art. 2, commi 1, lett. b), e 2, del D.L.
19 agosto 2003, n. 220 in materia di giustizia sportiva,
suffragata di recente dalla Corte costituzionale, "il giudice
amministrativo può conoscere delle sanzioni disciplinari inflitte a società,
associazioni ed atleti, in via incidentale ed indiretta, al fine di
pronunciarsi sulla domanda risarcitoria avanzata dal destinatario della
sanzione". E su questo punto la giurisprudenza è unanime nel ricondurre
l'esistenza del danno alla mera irrogazione della sanzione disciplinare
Tornando,
quindi, alla mia riflessione iniziale, questo Codice, poco etico e
apparentemente bulgaro, null’altro sembra essere se non un mero esercizio di
stile, neppure troppo riuscito.
Sia per le
infelici scelte lessicali che rendono incomprensibili precetto e ratio di
talune disposizioni (artt. 12 e13), sia per l'arbitraria intromissione in
questioni che nulla hanno a che fare con l'etica, e che dovrebbero essere
lasciate alla libera disponibilità dei titolari dei diritti coinvolti (artt. 10
e 11), questo corpo percettivo impropriamente denominato codice etico, mi
sembra soltanto l'ennesima occasione mancata.
Paola Puglisi
Egr. avv.
RispondiEliminaLa ringrazio per il contributo chiarificatore circa i contenuti del Codice etico. Personalmente non mi sono addentrato nei meandri delle disquisizioni legali inerenti tale disposto, poiché mi mancano gli strumenti necessari per valutalo, ovvero la conoscenza della giurisprudenza: nel leggerlo mi sono meravigliato di quanto in esso pronunciato. Ho atteso che ci fossero interventi qualificati che potessero chiarire la validità di tale codice. Credo che Lei abbia espresso con competenza e precisione un pensiero illuminante circa l’ obiettivo del dispositivo emanato dalla F.I.S..
Ritengo che altre categorie avrebbero potuto e dovuto esprimersi sull’argomento: per la verità lo hanno fatto, ma poi sono tornate indietro.
Grazie ancora per il Suo apporto
Ezio RINALDI