I partecipanti al torneo di sciabola per professionisti del 1926. Al centro il presidente della federazione, Giuseppe Mazzini, con Nedo Nadi alla sua destra. |
Avevo scritto, qualche mese fa,
sul blog di Piazzascherma, un articolo sulla categoria dei Master. Lo potete
leggere qui:
https://piazzadellascherma.blogspot.com/2020/07/il-libro-dei-sogni.html
Sostenevo l’importanza di una categoria, quella dei Master, che a mio parere è ancora sottovalutata. Ha contribuito notevolmente alla crescita del movimento schermistico, e secondo me può farlo in misura ancora maggiore: cosa particolarmente importante in un periodo storico come quello attuale, che vede penalizzate le federazioni con basso numero di tesserati e - sempre secondo me - ha anche un gran bisogno di dirigenti animati da sana passione, e disposti ad impiegare il proprio tempo e la propria competenza a favore della scherma.
Sembra ormai aver fatto il suo tempo un modello organizzativo che vede solo nelle gare - sempre di più, sempre più dure, e soprattutto costose – il fine primario delle società e dei maestri. Non ho statistiche a dimostrazione del mio assunto, ma ho la netta impressione che questo modello limiti non poco l’aumento dei tesserati, e anzi favorisca, a lungo andare, l’abbandono di quanti non riescono a tenere il passo dell’agonismo esasperato.
Fino alla scorsa stagione il mondo dei Master è stato in piena espansione, e riprenderà a farlo - credo e spero - quando questa emergenza sanitaria allenterà la presa. Ricordo ancora quando, in Consiglio direttivo federale, si ascoltavano con malcelato fastidio le richieste avanzate da chi chiedeva, per i Master, maggiore attenzione. Le cose sono cambiate, le barriere sono in parte cadute, e la situazione politico-sportiva attuale determinerà, a mio parere, una rinnovata ed accresciuta attenzione per la categoria.
Anche i Master amano l’agonismo, e si vede! Ma tanti, fra loro, amano il semplice divertimento, le quattro botte in sala fra amici, la birra a fine allenamento, lo stare insieme: anche se le gare preferiscono non farle, o solo occasionalmente. Credo che lo stesso avvenga o possa avvenire a tutte le età, cosa che porterebbe facilmente ad un aumento dei numeri, a un miglioramento economico della situazione delle sale di scherma, e ad uno spostamento reale dell’attenzione verso gli aspetti educativi e culturali del nostro bellissimo sport.
Quasi per caso, tra una ricerca e l’altra, mi è capitato sotto il naso un articolo di Nedo Nadi, pubblicato su “La Stampa” il 12 marzo 1933. Manco a dirlo, parla di veterani, come allora si chiamavano, e ne parla con affetto, rispetto e ammirazione.
Giancarlo TORAN
Veterani e anziani
Il titolo è preso a prestito dalla qualifica d'un torneo disputato a Torino nel gennaio di quest'anno. C'è, dunque, un'età in cui uno schermidore ha diritto di esser chiamato “anziano” ed un'altra età alla quale diventa addirittura “veterano”? Un limite vero e proprio non lo conosciamo, ma gli organizzatori torinesi risolsero il problema per conto loro e lo risolsero benissimo. A quarant'anni, nessuno può negare l'anzianità, oltre i cinquanta, anche per uno sport come la scherma, si passa alla “Terribile”. Non che in guerra le care pipe rosse dei camerati dai capelli grigi non abbian dato in più d'una circostanza dei punti ai ragazzi del '99, ma, insomma, erano occasioni rare, casi sporadici, come sarebbe quello di vedere un cinquantenne sulla pedana con la velleità di battere un campione all'apogeo della sua forza. Fra tutti gli sport, la scherma è forse quello in cui più a lungo si può mantenere la piena efficienza. Se un pugilatore è vecchio a trent'anni, uno schermidore raggiunge soltanto verso questa età il massimo del suo rendimento e per lungo tempo può mantenere la sua forza, avvantaggiandosene anche, fino a che al miglioramento del “tempo”, alla maggiore, esperienza e al più sottile ragionamento non faccia riscontro l'inevitabile declino delle forze fisiche. Dove la parabola dello schermidore tocchi esattamente il suo vertice nessuno può dire, ma se volessimo fissare un punto di riferimento saremmo forse nel vero stabilendo che la efficienza d'uno schermidore intelligente può
considerarsi in continuo progresso fino al giorno in cui i muscoli ed i nervi non palesino i primi sintomi di logoramento. Quando la parabola inizia il suo corso discendente, lo schermidore che non abbia un gloriosissimo passato sportivo mal si rassegna a disertare le competizioni e sarà, d'altronde, l'ultimo a convincersi che i mezzi fisici hanno iniziato il fatale declino. Perché impedirgli allora di dare sfogo alla sua passione? La scherma è uno sport aristocratico — si dice da tutti —, ma l'aristocrazia non è quella dei suoi praticanti. È nello sport stesso, nei suoi bisogni, nelle sue regole, nel suo fascino, nella sua stessa impopolarità. Chi vede giocare a football intende la fatica del calciatore, chi assiste ad un incontro di pugilato si rende conto dello sforzo, dell'audacia, della tecnica degli avversari, ma quanti profani intendono lo spasimo a cui è condannato lo schermidore sotto la maschera? Dolce, dolcissima fatica quando si domina; amaro, amarissimo supplizio quando si è dominati. Al profano sfugge ogni cosa, ma chi ha provato, un giorno, la gioia della battaglia, chi ha sentito la beatitudine della vittoria — sia pur questa umilissima - è, come dicevamo poc'anzi, preso nel gorgo. A cinquant'anni diventerà veterano - ci dicono i torinesi che hanno fatto la prima esperienza - ma sulla pedana il cuore sarà rimasto ventenne. Non è raro vedere nelle sale di scherma, specialmente in quelle straniere, i vegliardi che ancora si dilettano nel gioco amichevole senza che l'amor proprio abbandoni la stretta. Abbiamo visto in tutti i Paesi del mondo fior d'uomini d'ingegno farsi le più beate illusioni. “Io faccio..., io posso”. E se il veterano sbuffa ed è piegato, annientato, ridotto all'impotenza magari da un giovane che non ha cuore né pietà, ecco la frase classica: “Ai miei tempi...”. C'è chi sorride, chi pensa in cuor suo che la scherma fa dei pazzi, ma non è così.
Noi, che vecchi ancora non siamo, non sorridiamo. Questa passione, quando non è inquinata dalla vanità, ci esalta e ci commuove. Quanti gloriosi settantenni vivono, d'altronde, per l'arte e dell'arte? Tutti i maestri degni di questo nome sono dei poeti che hanno cantato a pieni polmoni e che nella decadenza trovano ancora la strofa, gentile come un madrigale. Che volevamo dire con queste righe? Forse questo, ecco: che ogni età ha le sue gioie, ma che per la scherma tutte le età sono buone. Finché brillerà negli occhi senili l'entusiasmo per una nobile battaglia, la giovinezza non sarà spenta del tutto. È la scherma, dunque, il segreto del benessere, l'elisir di lunga vita? Non vogliamo, a mo' di conclusione, tirar l'acqua a un mulino che ci è caro. Invece di dire la scherma, diciamo pure lo sport. Certo, giocare al calcio o far dello sprint a sessant'anni non è concepibile. Ma, comunque, guardiamoci dal considerare con sopportazione l'uomo dai capelli bianchi che gioca al golf o che impugna un fioretto. Questi sportivi, anche se non conquistano un record, sono tutt'altro che inutili. Sono un esempio vivente d'una passione che gli anni non hanno potuto estinguere, sono l'incitamento d'una generazione al tramonto che, invece di cadere esausta sotto il peso della fiaccola sacra, la porge nelle braccia della generazione all'aurora perché la faccia splendere di una luce più ferma e più alta. Ad essi tutto il nostro rispetto.
NEDO NADI
Sostenevo l’importanza di una categoria, quella dei Master, che a mio parere è ancora sottovalutata. Ha contribuito notevolmente alla crescita del movimento schermistico, e secondo me può farlo in misura ancora maggiore: cosa particolarmente importante in un periodo storico come quello attuale, che vede penalizzate le federazioni con basso numero di tesserati e - sempre secondo me - ha anche un gran bisogno di dirigenti animati da sana passione, e disposti ad impiegare il proprio tempo e la propria competenza a favore della scherma.
Sembra ormai aver fatto il suo tempo un modello organizzativo che vede solo nelle gare - sempre di più, sempre più dure, e soprattutto costose – il fine primario delle società e dei maestri. Non ho statistiche a dimostrazione del mio assunto, ma ho la netta impressione che questo modello limiti non poco l’aumento dei tesserati, e anzi favorisca, a lungo andare, l’abbandono di quanti non riescono a tenere il passo dell’agonismo esasperato.
Fino alla scorsa stagione il mondo dei Master è stato in piena espansione, e riprenderà a farlo - credo e spero - quando questa emergenza sanitaria allenterà la presa. Ricordo ancora quando, in Consiglio direttivo federale, si ascoltavano con malcelato fastidio le richieste avanzate da chi chiedeva, per i Master, maggiore attenzione. Le cose sono cambiate, le barriere sono in parte cadute, e la situazione politico-sportiva attuale determinerà, a mio parere, una rinnovata ed accresciuta attenzione per la categoria.
Anche i Master amano l’agonismo, e si vede! Ma tanti, fra loro, amano il semplice divertimento, le quattro botte in sala fra amici, la birra a fine allenamento, lo stare insieme: anche se le gare preferiscono non farle, o solo occasionalmente. Credo che lo stesso avvenga o possa avvenire a tutte le età, cosa che porterebbe facilmente ad un aumento dei numeri, a un miglioramento economico della situazione delle sale di scherma, e ad uno spostamento reale dell’attenzione verso gli aspetti educativi e culturali del nostro bellissimo sport.
Quasi per caso, tra una ricerca e l’altra, mi è capitato sotto il naso un articolo di Nedo Nadi, pubblicato su “La Stampa” il 12 marzo 1933. Manco a dirlo, parla di veterani, come allora si chiamavano, e ne parla con affetto, rispetto e ammirazione.
Giancarlo TORAN
Veterani e anziani
Il titolo è preso a prestito dalla qualifica d'un torneo disputato a Torino nel gennaio di quest'anno. C'è, dunque, un'età in cui uno schermidore ha diritto di esser chiamato “anziano” ed un'altra età alla quale diventa addirittura “veterano”? Un limite vero e proprio non lo conosciamo, ma gli organizzatori torinesi risolsero il problema per conto loro e lo risolsero benissimo. A quarant'anni, nessuno può negare l'anzianità, oltre i cinquanta, anche per uno sport come la scherma, si passa alla “Terribile”. Non che in guerra le care pipe rosse dei camerati dai capelli grigi non abbian dato in più d'una circostanza dei punti ai ragazzi del '99, ma, insomma, erano occasioni rare, casi sporadici, come sarebbe quello di vedere un cinquantenne sulla pedana con la velleità di battere un campione all'apogeo della sua forza. Fra tutti gli sport, la scherma è forse quello in cui più a lungo si può mantenere la piena efficienza. Se un pugilatore è vecchio a trent'anni, uno schermidore raggiunge soltanto verso questa età il massimo del suo rendimento e per lungo tempo può mantenere la sua forza, avvantaggiandosene anche, fino a che al miglioramento del “tempo”, alla maggiore, esperienza e al più sottile ragionamento non faccia riscontro l'inevitabile declino delle forze fisiche. Dove la parabola dello schermidore tocchi esattamente il suo vertice nessuno può dire, ma se volessimo fissare un punto di riferimento saremmo forse nel vero stabilendo che la efficienza d'uno schermidore intelligente può
considerarsi in continuo progresso fino al giorno in cui i muscoli ed i nervi non palesino i primi sintomi di logoramento. Quando la parabola inizia il suo corso discendente, lo schermidore che non abbia un gloriosissimo passato sportivo mal si rassegna a disertare le competizioni e sarà, d'altronde, l'ultimo a convincersi che i mezzi fisici hanno iniziato il fatale declino. Perché impedirgli allora di dare sfogo alla sua passione? La scherma è uno sport aristocratico — si dice da tutti —, ma l'aristocrazia non è quella dei suoi praticanti. È nello sport stesso, nei suoi bisogni, nelle sue regole, nel suo fascino, nella sua stessa impopolarità. Chi vede giocare a football intende la fatica del calciatore, chi assiste ad un incontro di pugilato si rende conto dello sforzo, dell'audacia, della tecnica degli avversari, ma quanti profani intendono lo spasimo a cui è condannato lo schermidore sotto la maschera? Dolce, dolcissima fatica quando si domina; amaro, amarissimo supplizio quando si è dominati. Al profano sfugge ogni cosa, ma chi ha provato, un giorno, la gioia della battaglia, chi ha sentito la beatitudine della vittoria — sia pur questa umilissima - è, come dicevamo poc'anzi, preso nel gorgo. A cinquant'anni diventerà veterano - ci dicono i torinesi che hanno fatto la prima esperienza - ma sulla pedana il cuore sarà rimasto ventenne. Non è raro vedere nelle sale di scherma, specialmente in quelle straniere, i vegliardi che ancora si dilettano nel gioco amichevole senza che l'amor proprio abbandoni la stretta. Abbiamo visto in tutti i Paesi del mondo fior d'uomini d'ingegno farsi le più beate illusioni. “Io faccio..., io posso”. E se il veterano sbuffa ed è piegato, annientato, ridotto all'impotenza magari da un giovane che non ha cuore né pietà, ecco la frase classica: “Ai miei tempi...”. C'è chi sorride, chi pensa in cuor suo che la scherma fa dei pazzi, ma non è così.
Noi, che vecchi ancora non siamo, non sorridiamo. Questa passione, quando non è inquinata dalla vanità, ci esalta e ci commuove. Quanti gloriosi settantenni vivono, d'altronde, per l'arte e dell'arte? Tutti i maestri degni di questo nome sono dei poeti che hanno cantato a pieni polmoni e che nella decadenza trovano ancora la strofa, gentile come un madrigale. Che volevamo dire con queste righe? Forse questo, ecco: che ogni età ha le sue gioie, ma che per la scherma tutte le età sono buone. Finché brillerà negli occhi senili l'entusiasmo per una nobile battaglia, la giovinezza non sarà spenta del tutto. È la scherma, dunque, il segreto del benessere, l'elisir di lunga vita? Non vogliamo, a mo' di conclusione, tirar l'acqua a un mulino che ci è caro. Invece di dire la scherma, diciamo pure lo sport. Certo, giocare al calcio o far dello sprint a sessant'anni non è concepibile. Ma, comunque, guardiamoci dal considerare con sopportazione l'uomo dai capelli bianchi che gioca al golf o che impugna un fioretto. Questi sportivi, anche se non conquistano un record, sono tutt'altro che inutili. Sono un esempio vivente d'una passione che gli anni non hanno potuto estinguere, sono l'incitamento d'una generazione al tramonto che, invece di cadere esausta sotto il peso della fiaccola sacra, la porge nelle braccia della generazione all'aurora perché la faccia splendere di una luce più ferma e più alta. Ad essi tutto il nostro rispetto.
NEDO NADI
Caro Giancarlo, anche non avendo partecipato mai o quasi, direttamente o indirettamente, al "movimento Master" condivido in pieno le tue considerazioni.
RispondiEliminaSembra che l'inebriamento di gloria derivante dai risultati dei nostri campioni abbia ubriacato il nostro direttivo tanto da sbilanciarlo verso l'elite. Il 99,9 % del nostro microcosmo è altro ma viene deriso, turlupinato, spremuto. Così gli abbandoni che fanno il paio con i maestri che migrano altrove. Può essere che non ci si renda conto che il mondo cambia, che i militari sono una piccola e privilegiata casta, che il grosso, il cuore pulsante del nostro movimento è altro?
Spero che il risveglio non sia tardivo e che i dirigenti che verranno siano saggi e lungimiranti, più di quanto non abbia dimostrato l'attuale governo federale.