Dr. Maurizio FUMO ex Presidente del 5^ Sezione della Suprema Corte di Cassazione e Vice Presidente ANS |
È stato appena pubblicato il “Bilancio di
Mandato Federale” per il quadriennio 2017-2020, documento nel quale la FIS
elenca, ricorda ed esalta il suo operato nel predetto lasso temporale. Insomma
una specie di index rerum a se gestarum,
riferibile non a Cesare Ottaviano Augusto, ma ad un non meno autorevole
monarca. Il tono è, ovviamente, autocelebrativo; i contenuti (almeno alcuni
contenuti) ci sembrano rispecchiare in maniera distorta i fatti nella loro
materialità.
Mi soffermerò su tre argomenti (o, se si preferisce, “poste” del bilancio): lo statuto di Riccione, la condizione giuridico-economica delle persone che la federazione si ostina a chiamare “tecnici”, il mancato “accordo” tra la FIS e l’Accademia Nazionale di Scherma in materia di diplomi e formazione.
Se non capisco male, si sostiene (o si lascia intendere) che lo “statuto di Riccione” sia stato approvato dalla giunta del CONI. A me sembra che non sia così, in quanto il CONI ha subordinato l’approvazione all’esaurimento dei vari giudizi (e dei vari gradi di giudizio) pendenti. Non si chiarisce poi (perché evidentemente non è possibile farlo) se tale statuto sia mai stato trasmesso alla Prefettura. En passant sarebbe stato il caso di dire che lo statuto di Riccione è poi stato “superato” da quello redatto da un commissario ad acta, nominato dopo il passaggio in giudicato dell’ormai arcinota sentenza del Consiglio di Stato. Neanche quest’ultimo statuto è un capolavoro di chiarezza, ma, insomma, esiste e – per ora – vige.
Quanto ai così detti tecnici (vale a dire gli istruttori e i maestri di scherma, come, da decenni, si sono sempre ufficialmente chiamati), nel documento che la federazione offre alla lettura del popolo della scherma, si legge che “la FIS ha avviato un dialogo istituzionale [….] per sostenere l’importanza del riconoscimento del ruolo del lavoratore sportivo, anche in termini di salvaguardia normativa e previdenziale”. A me invece risulta che la federazione, in tutte le memorie e in tutti gli atti diretti alle Autorità di giustizia (tanto statali, quanto sportive), ha sempre sostenuto che i “tecnici” sono in realtà dei dilettanti; con tutte le conseguenze del caso – è inevitabile aggiungere – sul piano retributivo, assicurativo e contributivo. Nessuno, mi sembra, si è accorto che nel quadriennio appena trascorso si sia posto fine all’ipocrisia in base alla quale sarebbe un dilettante (cioè un signore con tempo a disposizione e senza preoccupazioni economiche) colui che dedica dalle 8 alle 10 ore alla pratica della scherma, passando la maggior parte del suo tempo in sala, per dare lezione, per sovrintendere agli allenamenti, per preparare i candidati agli esami e inoltre, come se non bastasse, “sacrifica” i fine settimana per seguire i suoi atleti in gara. Insomma, secondo quello che la federazione ha sostenuto fino a ieri, staremmo parlando di una condotta tenuta en amateur, non professionalmente, non come principale (quando non unica) attività lavorativa.
La verità è che, con una tenacia degna di miglior causa, la FIS non ha mai smesso di ricercare percorsi per eludere le pronunzie del giudice amministrativo, pronunzie che hanno chiarito – una volta per tutte – che solo l’Accademia Nazionale di Scherma può esaminare e diplomare gli aspiranti maestri e istruttori nazionali. Le prove di tale condotta obliqua sono più d’una. Si va dall’ammissione tra gli elettori nella categoria “tecnici” di persone che hanno il “diploma” rilasciato della FIS (e mai convertito/convalidato/sanato a seguito di un successivo esame sostenuto presso l’Accademia), alla tolleranza nei confronti di coloro che, privi di valido titolo, continuano ad insegnare, al conferimento del quarto livello professionale a chi non ha mai conseguito il terzo, vale a dire il titolo di maestro di scherma.
Di fronte ad una tale “pertinacia derogatoria”, che ha anche il sapore di un’aperta provocazione, non rimane che ricorrere allo strumento penale, denunziando comportamenti e situazioni inquadrabili in precise fattispecie di reato. Cosa che, ormai, l’Accademia è determinata a fare (anzi ha già iniziato a fare).
Il prossimo quadriennio, comunque vadano le elezioni (quelle valide), dovrà vedere ai vertici della federazione una compagine, almeno in parte, diversa e, si spera, più ragionevole e meno ossessionata dal perseguimento di un suo totalizzante disegno egemonico (così scoperto, da sfociare a tratti, addirittura, nel ridicolo). Riprenderanno, forse, i contatti e si troverà, si spera, una ragionevole composizione di una vicenda le cui conseguenze non hanno giovato a nessuno. Così il prossimo “Bilancio di Mandato” potrà correggere, su punti significativi, quello appena dato alle stampe.
Maurizio FUMO
Mi soffermerò su tre argomenti (o, se si preferisce, “poste” del bilancio): lo statuto di Riccione, la condizione giuridico-economica delle persone che la federazione si ostina a chiamare “tecnici”, il mancato “accordo” tra la FIS e l’Accademia Nazionale di Scherma in materia di diplomi e formazione.
Se non capisco male, si sostiene (o si lascia intendere) che lo “statuto di Riccione” sia stato approvato dalla giunta del CONI. A me sembra che non sia così, in quanto il CONI ha subordinato l’approvazione all’esaurimento dei vari giudizi (e dei vari gradi di giudizio) pendenti. Non si chiarisce poi (perché evidentemente non è possibile farlo) se tale statuto sia mai stato trasmesso alla Prefettura. En passant sarebbe stato il caso di dire che lo statuto di Riccione è poi stato “superato” da quello redatto da un commissario ad acta, nominato dopo il passaggio in giudicato dell’ormai arcinota sentenza del Consiglio di Stato. Neanche quest’ultimo statuto è un capolavoro di chiarezza, ma, insomma, esiste e – per ora – vige.
Quanto ai così detti tecnici (vale a dire gli istruttori e i maestri di scherma, come, da decenni, si sono sempre ufficialmente chiamati), nel documento che la federazione offre alla lettura del popolo della scherma, si legge che “la FIS ha avviato un dialogo istituzionale [….] per sostenere l’importanza del riconoscimento del ruolo del lavoratore sportivo, anche in termini di salvaguardia normativa e previdenziale”. A me invece risulta che la federazione, in tutte le memorie e in tutti gli atti diretti alle Autorità di giustizia (tanto statali, quanto sportive), ha sempre sostenuto che i “tecnici” sono in realtà dei dilettanti; con tutte le conseguenze del caso – è inevitabile aggiungere – sul piano retributivo, assicurativo e contributivo. Nessuno, mi sembra, si è accorto che nel quadriennio appena trascorso si sia posto fine all’ipocrisia in base alla quale sarebbe un dilettante (cioè un signore con tempo a disposizione e senza preoccupazioni economiche) colui che dedica dalle 8 alle 10 ore alla pratica della scherma, passando la maggior parte del suo tempo in sala, per dare lezione, per sovrintendere agli allenamenti, per preparare i candidati agli esami e inoltre, come se non bastasse, “sacrifica” i fine settimana per seguire i suoi atleti in gara. Insomma, secondo quello che la federazione ha sostenuto fino a ieri, staremmo parlando di una condotta tenuta en amateur, non professionalmente, non come principale (quando non unica) attività lavorativa.
Se la federazione ha cambiato idea (sarà stata
la incisiva azione svolta dall’AIMS e dal suo presidente a tutela dei suoi
iscritti?) non posso che rallegrarmene. Se poi addirittura ha orientato il
legislatore (che avrebbe “recepito” i
preziosi suggerimenti federali, come si legge nel “Bilancio”, e così “portato a compimento la recente riforma
dello sport”) è un grande successo di immagine (la FIS ne aveva bisogno);
ma ciò può valere per il futuro, non per il quadriennio appena trascorso, nel
quale è documentalmente provato il contrario.
E veniamo alle dolenti note della formazione
professionale e del suo riconoscimento.
A pag. 13 si attribuisce all’Accademia
Nazionale di Scherma la responsabilità del mancato accordo che avrebbe potuto
porre fine alla controversia scaturita dallo “scippo” degli esami per maestro e
istruttore nazionale, consumato qualche anno fa. Con tono dolente, si ricorda
che l’Accademia “ha ritenuto” di rivolgersi alla giustizia amministrativa.
Chissà che cosa di diverso avrebbe potuto fare per reagire ad un arbitrario
atto di imperio che ne avrebbe segnato la fine. Si dice ancora che l’Accademia
non ha voluto riconoscere il compito primario della FIS nella formazione dei
tecnici. In realtà quello che l’Accademia non ha riconosciuto (non potendolo
fare) è l’esclusiva che la federazione pretendeva nella preparazione dei
candidati. Con quale autorità avrebbe potuto farlo? Quale fonte normativa la
autorizzava a stipulare questo pactum ad
excludendum? Come si potrebbe impedire a un “privatista” o ad un soggetto
che si è formato presso un’altra istituzione l’accesso agli esami, se dimostra
di aver puntualmente seguito il programma di preparazione accettato e condiviso
in ambito schermistico?La verità è che, con una tenacia degna di miglior causa, la FIS non ha mai smesso di ricercare percorsi per eludere le pronunzie del giudice amministrativo, pronunzie che hanno chiarito – una volta per tutte – che solo l’Accademia Nazionale di Scherma può esaminare e diplomare gli aspiranti maestri e istruttori nazionali. Le prove di tale condotta obliqua sono più d’una. Si va dall’ammissione tra gli elettori nella categoria “tecnici” di persone che hanno il “diploma” rilasciato della FIS (e mai convertito/convalidato/sanato a seguito di un successivo esame sostenuto presso l’Accademia), alla tolleranza nei confronti di coloro che, privi di valido titolo, continuano ad insegnare, al conferimento del quarto livello professionale a chi non ha mai conseguito il terzo, vale a dire il titolo di maestro di scherma.
Di fronte ad una tale “pertinacia derogatoria”, che ha anche il sapore di un’aperta provocazione, non rimane che ricorrere allo strumento penale, denunziando comportamenti e situazioni inquadrabili in precise fattispecie di reato. Cosa che, ormai, l’Accademia è determinata a fare (anzi ha già iniziato a fare).
Il prossimo quadriennio, comunque vadano le elezioni (quelle valide), dovrà vedere ai vertici della federazione una compagine, almeno in parte, diversa e, si spera, più ragionevole e meno ossessionata dal perseguimento di un suo totalizzante disegno egemonico (così scoperto, da sfociare a tratti, addirittura, nel ridicolo). Riprenderanno, forse, i contatti e si troverà, si spera, una ragionevole composizione di una vicenda le cui conseguenze non hanno giovato a nessuno. Così il prossimo “Bilancio di Mandato” potrà correggere, su punti significativi, quello appena dato alle stampe.
Maurizio FUMO
Questi opuscoletti che il maresciallo Scarso dà alle stampe in vista delle Assemblee Elettive contengono sempre delle interessanti sorprese. Un po' come l'ovetto Kinder! Ricordo ancora l'opuscoletto del 2016 e ricordo anche le successive dichiarazioni-fake in merito ai refusi statutari. Fortunatamente quell'anno sono riuscito a procurami due copie dello Scarso-Opuscolo. Una la custodisco ancora gelosamente sotto vetro; dell'altra sono stato costretto a disfarmene per consegnarla alla Procura della Repubblica di Roma in allegato ad una documentatissima denuncia.
RispondiEliminaA. Fileccia
Stim.mo Presidente Fumo, questo paese non ha futuro! Certa gente c'ha la faccia più dura di quella dei Bronzi di Riace ma quello che è peggio è che sono ancora molti i servi inutili che si lasciano ammaliare dalla idolatria del potere fine a se stesso.
RispondiEliminahttps://www.iene.mediaset.it/video/universita-esami-falso-truffa-malago-mastrapasqua-la-sapienza-roma_312356.shtml
https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/06/01/giovanni-malago-indagato-per-falso-a-milano-al-centro-dellinchiesta-lelezione-di-gaetano-micciche-a-presidente-della-lega-serie-a/5820225/
A. Fileccia