L’occasione a suo modo storica del primo Campionato
mondiale di scherma ospitato da Milano, 12 anni dopo l’ultima tappa iridata in
Italia a Catania nel 2011, e coincidenze favorevoli mi hanno portato ieri, venerdì
28 luglio, al padiglione dell’Allianz MiCo per seguire da spettatore le fasi
finali delle prove a squadre di spada femminile e di sciabola maschile.
Fermo restando che un Mondiale, proprio per le sue caratteristiche di prova internazionale per eccellenza con l’arrivo di atleti, squadre e relative e delegazioni da ogni angolo del globo, richiede uno spazio di elevate dimensioni anche per consentire un adeguato svolgimento delle gare così come del riscaldamento degli atleti, l’impressione tuttavia è stata quella di un padiglione estremamente dispersivo, certo per gli spettatori – molti dei quali, a giudicare dai dialoghi captati sulle tribune, poco avvezzi o addirittura digiuni di scherma – ma probabilmente anche per gli addetti ai lavori.
Personalmente ho sempre ritenuto che una competizione sportiva debba essere ospitata in un impianto sportivo (il buon “vecchio” Palalido, oggi Allianz Cloud dopo il restauro) o almeno in una struttura adatta anche alle manifestazioni sportive di alto livello come, appunto, un Mondiale di disciplina (penso al Forum di Assago, nell’immediata prima cintura di Milano) pur sapendo bene che nella scherma, molto spesso, i comitati organizzatori optano per strutture di altra tipologia, dai centri congressi fino addirittura alle hall per concerti.
Un centro convegni ricavato da un padiglione fieristico, quale di fatto è l’Allianz MiCo, per giunta su più livelli e con scale mobili disposte a indovinello per capire dov’è la salita e dove la discesa, non pare il luogo ideale per avvicinare, anche fisicamente, il pubblico alle gare. Per fortuna, la tradizionale assenza di barriere che caratterizza ogni gara di scherma permetteva, con un po’ di fortuna e altrettanta intraprendenza e sempre nel rispetto di atleti che gareggiavano per un titolo iridato, un contatto ravvicinato con gli schermidori: diversi, soprattutto giovani e giovanissimi, hanno chiesto foto o selfie ai loro beniamini lungo gli infiniti corridoi.
Venendo alle note più cronistiche – talvolta si può essere spettatori fino a un certo punto – il livello delle gare, va detto con un’ottima visuale dalle tribune sia nelle pedane laterali che in quella centrale per le finali, è stato piuttosto elevato. Prestazione nel complesso sfilacciata e parecchio nervosa quella degli sciabolatori azzurri, che hanno chiuso sesti dopo l’assalto contro i ben più solidi tedeschi (45-35 il finale) mentre per le spadiste un argento che avrebbe potuto essere oro contro una Polonia arcigna ma non irresistibile (32-28 il finale, con le azzurre arrivate a +2 nell’ultimo parziale, in cui una Fiamingo troppo incerta rende un parziale di 3-9 all’avversaria Swaowska). Emozioni vive, come sempre, nella finale per l’oro di sciabola maschile, con Szilagyi che con un ultimo parziale degno della sua classe regala all’Ungheria l’oro sulla Corea del Sud (45-42). –
Mattia Boretti
Fermo restando che un Mondiale, proprio per le sue caratteristiche di prova internazionale per eccellenza con l’arrivo di atleti, squadre e relative e delegazioni da ogni angolo del globo, richiede uno spazio di elevate dimensioni anche per consentire un adeguato svolgimento delle gare così come del riscaldamento degli atleti, l’impressione tuttavia è stata quella di un padiglione estremamente dispersivo, certo per gli spettatori – molti dei quali, a giudicare dai dialoghi captati sulle tribune, poco avvezzi o addirittura digiuni di scherma – ma probabilmente anche per gli addetti ai lavori.
Personalmente ho sempre ritenuto che una competizione sportiva debba essere ospitata in un impianto sportivo (il buon “vecchio” Palalido, oggi Allianz Cloud dopo il restauro) o almeno in una struttura adatta anche alle manifestazioni sportive di alto livello come, appunto, un Mondiale di disciplina (penso al Forum di Assago, nell’immediata prima cintura di Milano) pur sapendo bene che nella scherma, molto spesso, i comitati organizzatori optano per strutture di altra tipologia, dai centri congressi fino addirittura alle hall per concerti.
Un centro convegni ricavato da un padiglione fieristico, quale di fatto è l’Allianz MiCo, per giunta su più livelli e con scale mobili disposte a indovinello per capire dov’è la salita e dove la discesa, non pare il luogo ideale per avvicinare, anche fisicamente, il pubblico alle gare. Per fortuna, la tradizionale assenza di barriere che caratterizza ogni gara di scherma permetteva, con un po’ di fortuna e altrettanta intraprendenza e sempre nel rispetto di atleti che gareggiavano per un titolo iridato, un contatto ravvicinato con gli schermidori: diversi, soprattutto giovani e giovanissimi, hanno chiesto foto o selfie ai loro beniamini lungo gli infiniti corridoi.
Venendo alle note più cronistiche – talvolta si può essere spettatori fino a un certo punto – il livello delle gare, va detto con un’ottima visuale dalle tribune sia nelle pedane laterali che in quella centrale per le finali, è stato piuttosto elevato. Prestazione nel complesso sfilacciata e parecchio nervosa quella degli sciabolatori azzurri, che hanno chiuso sesti dopo l’assalto contro i ben più solidi tedeschi (45-35 il finale) mentre per le spadiste un argento che avrebbe potuto essere oro contro una Polonia arcigna ma non irresistibile (32-28 il finale, con le azzurre arrivate a +2 nell’ultimo parziale, in cui una Fiamingo troppo incerta rende un parziale di 3-9 all’avversaria Swaowska). Emozioni vive, come sempre, nella finale per l’oro di sciabola maschile, con Szilagyi che con un ultimo parziale degno della sua classe regala all’Ungheria l’oro sulla Corea del Sud (45-42). –
Mattia Boretti
Sono bastati 5 minuti per inquadrare gli accessi alle pedane preliminari, a quelle colorate, alla pedana della finale, ai servizi bar/ristorazione e ai servizi igienici. Non ho colto questa sensazione di dispersione, non l’ho colta neanche nelle tante persone che ho incontrato e con le quali ho scambiato qualche parola. Ma forse sono stato fortunato ed ho incontrato solo persone positive.
RispondiEliminaNon scrivete in anonimo! Non vi pubblico! Enrico Benedetto non esiste! E poi abbiate rispetto per un giornalista professionista!
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