Dalle voci disordinate di Radio
scherma prima che il Consiglio federale deliberasse, si pensava che le teste
rotolanti lungo la pedana sarebbero state tante. Invece il 15 febbraio a
Catania ha prevalso il buon senso, non il cambiamento come hanno sbandierato
per mesi in campagna elettorale.
Sulla PIAZZA fu scritto a chiare lettere che il settore
spada era stato ben organizzato, mentre sciabola e fioretto erano più in
difficoltà e così il Consiglio ha deciso di mantenere Chiadò e rinnovare le
armi convenzionali.
Il tema infatti non erano le
medaglie, ma la pratica di fioretto e sciabola, che in Italia sono ridotte al
lumicino. Passi il fioretto che sopravvive per mano di pochi eroi romantici che
insegnano l’arma delle armi, ma la sciabola da anni sente echeggiare il de
profundis un po’ ovunque. I più moderati la consideravano già morta e finanche
sepolta e solo qualche coraggioso pirata abbordava il settore, benché poi fosse
costretto a pentirsi per certi insormontabili problemi di vario genere e
livello.
Eppure è da plaudire la decisione
federale di mantenere Dario Chiadò alla spada. Lui infatti ha organizzato con
precisione i CAF, ha seguito bene le nazionali minori, e si è coordinato con i
CT delle nazionali giovanili, per avere sempre un ricambio fresco nella
nazionale maggiore e una visione globale di un’arma molto praticata, cosa non
del tutto scontata. E anche se i risultati sono sempre difficili da ottenere,
alcuni record li ha raggiunti, come la sorprendente medaglia d’oro nella
squadra femminile a Parigi.
Vorrà dire che Vanni, Aquili e
Terenzio, dovranno, almeno un pochino, fare tesoro dell’esperienza della spada
e rimboccarsi le maniche per conoscere le realtà locali, non solo fidandosi dei
risultati delle gare nazionali o del consiglio di qualche maestro amico che la
vede più lunga di loro. Considerato che sono tutti e tre sotto i cinquant’anni,
la speranza è corroborata da parte loro da una forte sensazione di “voglia di
fare”, che riscalda i cuori.
Cerioni intanto non sembra averla
presa bene. Anzi la risposta mediatica che ha scatenato la decisone federale,
vorrebbe difendere il medagliatissimo jesino che sperava in un rinnovo, forse
per chiudere in bellezza e in casa una carriera sfolgorante visto che nel 2028
avrà 64 anni. Più di tutte però è stata la risposta bruciante data da chi lo ha
chiamato per dirgli che il contratto non era stato rinnovato, ovvero che la
scelta di Vanni nasceva dal “desiderio di cambiare, con rischi annessi, senza
togliere nulla al valore subentrante e di proporre stimoli differenti a un
movimento all’inizio di un nuovo corso”.
Su questa decisione forse conta
molto anche una storia fiorettistica pregressa, che voleva Vanni CT già dal
2021, nome suscitato nel seno della stessa squadra in quel periodo, a valle di
presunti dissapori dell’allora capitano del fioretto Daniele Garozzo nei
confronti del CT, Andrea Cipressa. Malumori che si concretizzarono in una
celebre lettera che l’allora campione ora vicepresidente vicario scrisse per
farlo rimuovere.
Viste le scosse telluriche
nell’arma, Paolo Azzi prese la decisione salomonica di accontentarli solo a
metà, togliendo Cipressa e invece di mettere Vanni, mise al suo posto Cerioni,
che aveva carisma ed esperienza, dandogli uno stipendio dalla FIS, ben integrato
dal CONI, per evitare che andando in Francia dove aveva avuto una lauta
proposta, avrebbe fatto quasi di certo vincere i transalpini nelle olimpiadi
parigine, ma a spese degli italiani.
La scelta di mettere Cipressa a
capo dei tre CT serviva quindi per coordinare quella terna di Commissari
tecnici composta da Chiadò, Tarantino e Vanni, che fu a suo tempo sì una vera e
propria rivoluzione, ma fin da subito divenne quella che conosciamo oggi
composta da Chiadò, Zanotti e Cerioni.
Oggi quella rivoluzione che
vediamo firmata Mazzone, è per i più addentro la materia, un qualcosa di
dejàvu, e il cambiamento di cui si parlava all’inizio, o se preferite in
campagna elettorale, non c’è o forse non c’è mai stato, anzi è stato fatto
all’insegna della continuità, come se il Consiglio federale non si fosse mai
rinnovato.
Un paradosso che nella scherma è
oramai una sorta di regola.
Fabrizio ORSINI
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